Uno spettacolo intimo, piccolo ma sincero. Una storia modesta e comune inserita in un contesto contraddittorio, poco conosciuto e per niente banale. L’archetipico viaggio di un’anima, di una donna qualunque attraverso una dimensione altra, più grande, l’intrecciarsi di un vivere umile e quotidiano con i meccanismi e i personaggi artefici della Storia, coloro che la determinano, ne tessono le trame. Uno spettacolo che cerca di dare un volto umano e comprensibile ad un cambiamento, ad un passaggio doloroso di poteri e consuetudini, il passaggio dalla Jugoslavia comunista di Tito al disfacimento degli stati nazionali balcanici, la guerra serbo-slovena, la violenza. Un piccolo racconto, la narrazione di un percorso di formazione che porta una ragazza a diventare adulta e poi ancora inesorabilmente vecchia, perdendo ad ogni passo un po’della propria speranza e acquistando sempre di più un cinismo profondo e radicato ma pieno, sempre e comunque, d’amore. Uno spettacolo che, in fondo, non è neppure realmente teatro in quanto, attraverso la sua struttura principalmente monologata, utilizza un linguaggio quasi giornalistico e diaristico, ma che riesce con efficacia a rendere un atmosfera, un contesto e un vissuto particolari.
Ksenija Martinovic, ragazza nata in Serbia ma giovane promessa del Teatro Italiano, è riuscita a riadattare in chiave teatrale, aiutata anche dalla regista Fiona Sansone, il romanzo “Diario di una casalinga serba” in maniera sincera e spontanea. Nonostante alcune incertezze, spiegabili con la giovane età e la relativamente poca esperienza dell’attrice, la recitazione di Ksenija si è dimostrata virtuosa e capace di spostarsi in tempi brevissimi da momenti drammatici ad attimi ed espressioni di comicità e spensieratezza. Inoltre, nonostante l’adattamento e lo sviluppo scenico non siano stati del tutto efficaci, di certo si sono rivelati emotivamente forti e capaci di conquistare e commuovere il pubblico.
Dal punto di vista delle tematiche, quello che lo spettacolo sembra voler evidenziare è proprio la distanza della volontà di ogni singolo cittadino durante la dittatura di Tito rispetto alle necessità e alle esigenze della nazione, della “grande” Jugoslavia. Una sorta di paradigma dell’uomo calato e costretto a vivere in qualsiasi tipo di dittatura, spinto a credere a false promesse e miti di progresso, una bimba che registra in un mangianastri i propri sogni e le proprie promesse che lentamente si infrangono contro la dura realtà della vita, contro una società e un mondo in disfacimento.
Uno spettacolo che lascia chi lo guarda con l’amaro in bocca, lo fa sentire partecipe ma nel contempo impotente. Si potrebbe dire che, con la brutale onestà e sincerità della sua recitazione, Ksenija riesce a coinvolgere un po’tutti, parlando ad ognuno in maniera differente e particolareggiata, riuscendo ad unire la sfera esistenziale con quella sociale, obbiettivo che ogni vero lavoro artistico dovrebbe riuscire a raggiungere.
Carlo Selan