Villa Manin si apre ad un nuovo progetto artistico, le “Residenze delle arti performative a Villa Manin”. Per tutto l’anno negli spazi della Villa verranno realizzati, in collaborazione con il CSS Teatro stabile di innovazione FVG, performance visive e momenti di arte performativa con artisti provenienti sia dall’Italia che dall’estero. In occasione della presentazione di questo nuovo progetto artistico ho avuto l’occasione di intervistare i giovani ragazzi della compagnia di teatro contemporaneo e arte performativa Dewey Dell, ormai famosi ed apprezzati non solo in Italia ma anche all’estero, e di parlare un po’con loro riguardo ai futuri progetti e lavori artistici che vogliono realizzare.
Infatti proprio a Villa Manin dal 9 al 15 novembre questi quattro giovani artisti metteranno in scena due spettacoli, uno, ovvero Africa Blues, volto a riscoprire e approfondire le origini di un genere musicale vasto e fondamentale come il Blues attraverso esperienze sensoriali di tipo uditivo e visivo, l’altro invece volto a rappresentare attraverso un linguaggio gestuale e fisico l’incredibile realtà figurativa delle pitture rupestri della grotta di Chauvet du Pont d’Arc , da poco scoperte. Ecco cosa ci siamo detti.
Ciao ragazzi! Allora, ho sentito che una delle vostre prossime performance sarà ispirata e sarà legata alle pitture rupestri, in particolare ai graffiti e ai dipinti ritrovati presso la grotta di Chauvet du Pont d’Arc? Potete spiegarmi come siete riusciti a trasporre e ad esprimere un arte figurativa come quella dei graffiti e delle pitture rupestri attraverso le gestualità e il linguaggio performativo? Qual è l’idea o il concetto che ci sta dietro?
Allora, il nostro modo di procedere, una volta che abbiamo un’idea in testa, è abbastanza particolare, ovvero tendiamo a distruggerla e scomporla, quasi sviscerarla, riuscendo così in parte a distruggerla, in parte a farla evolvere e crescere di significato. L’idea che sta dietro al nostro progetto di creare una forma e un espressione gestuale a partire dai graffiti o dai dipinti rupestri è quella di inscenare e ricostruire un archeologia dei movimenti. Parlando infatti con alcuni studiosi ci siamo resi conto di come fosse effettivamente possibile ricostruire, a partire dalle pitture, proprio i movimenti e i gesti di chi li aveva creati. Insomma vorremmo ricostruire la gestazione fisica di queste pitture, qualcosa di molto affascinante.
Analizzando un po’anche le vostre opere precedenti, come ad esempio lo spettacolo Marzo, mi sembra di intravedere un filo o una riflessione comune interna ai vostri lavori, una profonda meditazione intorno al concetto di “origine” in senso lato. Sbaglio?
In realtà non ci avevamo mai pensato. Può darsi che questi due ultimi progetti in qualche modo e per caso abbiano a che fare con il concetto di “origine” e con tutto ciò che ne deriva ma di certo non era una cosa voluta.
Ho sentito che realizzerete anche una performance legata al mondo musicale e culturale del Blues, ripercorrendo in particolare le sue origini e le sue connotazioni profondamente africane. Come mai proprio il Blues?
Tutto nasce da una nostra passione condivisa ovvero quella per il Blues ma soprattutto per la musica Africana. Ci è capitato di venire a contatto con gli scritti e il pensiero dello studioso Gerhard Kubik riguardo alle origini del Blues e da li abbiamo deciso di ripercorrerne un po’ la storia, tracciarne un percorso. È una musica molto affascinante, suonata inizialmente dagli schiavi africani senza neanche usare percussioni in quanto erano vietate…
Quali sono i vostri principali riferimenti artistici e non, a cosa vi ispirate?
Guarda, è difficile rispondere in quanto ogni lavoro nasce a partire da ricerche e ispirazioni differenti. Insomma, sarebbe un argomento molto vasto che è difficile da riassumere e generalizzare
Ancora un’ultima domanda: come siete venuti a conoscenza del ritrovamento delle pitture rupestre e che cosa vi ha ispirato così tanto da spingervi a realizzare lo spettacolo?
Beh, studiando all’università storia dell’arte ci è capitato di venire a conoscenza di questo spettacolare ritrovamento e ne siamo rimasti affascinati. Rappresentano una sorta di taglio temporale, un ponte diretto di collegamento tra il tempo presente e un periodo così lontano da non essere neppure considerato storia…
Carlo Selan