Un inizio incisivo, deciso. No, lo spettacolo non si deve realizzare, il teatro è un linguaggio che sembra non avere più forza. Una presa di posizione particolare, forte, che si smentisce pian piano. La narrazione si sviluppa intorno ad un equivoco voluto: la volontà di non raccontare che però diviene essa stessa racconto, la mancanza di una presenza scenica tradizionale a favore di un processo di sezionamento dello spettacolo, un voler svelare, davanti al pubblico e senza pudori, le fasi di preparazione di un progetto teatrale. Una maniera di lavorare molto particolare, capace di mettere in scena il pre-spettacolo, quasi una sorta di scomposizione cubista analitica dell’atto del fare teatro: è questa la cifra stilistica che caratterizza quasi tutti i lavori e i progetti artistici della compagnia Deflorian/Tagliarini, questo voler narrare per scomposizione, voler inscenare senza mettere in scena.

Gli attori che cessano apparentemente di essere maschere per divenire sul palco se stessi, la storia da cui la narrazione trae spunto che diventa visione soggettiva e interpretazione del singolo personaggio. Una performance dialogata costruita su fughe e risposte, un continuo nascondersi e rivelarsi, dire non volendo dire, una sottile ironia che racconta disincantata la tragedia, una lunga sequenza dinamica.

“Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni” , l’ultimo lavoro della compagnia andato in scena sabato al Teatro San Giorgio all’interno della stagione del CSS Teatro stabile di innovazione FVG, utilizza come spunto di partenza un’immagine forte, ovvero quattro pensionate che nel contesto critico e difficile della Grecia contemporanea decidono di suicidarsi per non sentirsi più di peso nei confronti dello Stato, tratta dalle pagine iniziali da un romanzo del 2011 dello scrittore greco Petros Markaris, L’esattore. L’abilità della compagnia Defloria/Tagliarini è stata proprio quella di riuscire a raccontare questa storia senza narrarla in senso tradizionale ma facendola intuire scomponendola, spostandola su altri piani e personalizzandola, costruendoci sopra un dialogo tra soggettività differenti e punti di vista disuguali. Si passa dal pensiero della prima attrice, la quale afferma con forza che lei quello spettacolo non lo vuole più rappresentare, che quello è un adattamento che non può funzionare, fino ad arrivare alla seconda attrice che, raccontandoci la difficoltà delle pensionate protagoniste, riesce ad evocare e a formulare delle riflessioni riferite sia al mestiere del fare arte in Italia e non solo, sia pensabili in un contesto più generale.

Un dialogare e una narrazione realizzata attraverso la soggettività dei protagonisti che viene evidenziata in maniera magistrale attraverso una coreografia volta in un primo momento ad isolare i singoli attori ponendoli in primo piano rispetto agli altri, in piedi invece che seduti oppure isolati nei margini laterali del palco, mentre in un secondo momento utilizzata (verso la fine) per raccontare una solidarietà d’intenti ritrovata tra gli attori che, per la prima volta in tutto lo spettacolo, sembrano impersonificare totalmente i quattro personaggi delle pensionate.

Molto importante anche l’utilizzo che viene fatto delle musiche, usate in pochi punti per evidenziare i dialoghi fondamentali. Bellissimo inoltre il lavoro fatto sulle luci e sulle ombre, elementi chiave di separazione per rendere il vivere e lo scomparire.

Carlo Selan