Non c’è niente di complicato nello spettacolo di Gioia Salvatori, Giuliano Scarpinato e Michele Degirolamo, visto domenica 20 marzo al Palamostre ma che viaggia per l’Italia dal 2014.

Eppure, a giudicare dalle difficoltà che ha incontrato nell’itinerario che lo ha portato, tra le altre cose, a vincere il Premio Scenario Infanzia 2014, sembrerebbe che non sia proprio così. Infatti, anche se il pubblico destinatario è quello dei ragazzi dagli 8 fino ai 16 anni, c’è un fronte di adulti – genitori, politici, perfino sindaci – che ha deciso di dare il via ad una serie di proteste, raccomandazioni e boicottaggi nel tentativo di ostacolare il progetto.

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Lo spettacolo si svolge interamente nella stanza del protagonista Alex ( interpretato da un tenero Michele Degirolamo) che diventa nave spaziale, acquario, campo da calcio a seconda della necessità, e dalla quale il bambino (che si sente tale nei giorni pari, perché nei giorni dispari è più una bambina) comunica con i genitori attraverso lo spioncino della serratura.

In un dialogo spezzato dai silenzi ed entusiaste esclamazioni di Alex e dagli svenimenti del padre Rob, veniamo a conoscenza del sogno di Alex: andare a Samoa con l’amico Elliott, sposarlo e, prima o poi, tornare e stabilirsi dalla nonna quando lei non ci sarà più.

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Perché a Samoa? Perché lì ci sono i Fa’afafine, letteralmente “A mo’ di donna”, un vero e proprio terzo sesso accettato e rispettato come tale, in cui il protagonista si riconosce.

“Chi è questo Elliott? Io non lo conosco”: questa la reazione del papà, simbolica forse, visto che Elliott sembra non essere l’unico aspetto della vita del figlio che non conosce. Il suo sbigottimento suggerisce che forse non si tratta solo di come sia difficile crescere Fa’afafine fuori Samoa, quanto piuttosto di come difficile possa risultare fare i conti con una caratteristica fuori dal comune nei propri figli. Con un figlio come Alex che non si risparmia nel manifestarsi in vestiti da principessa e compie piccoli furti all’armadio della mamma.

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Su internet si leggono titoli come “Difendiamo i nostri figli”, ma la sensazione che la visione di questo spettacolo ci lascia è che forse coloro che hanno veramente bisogno di essere aiutati sono gli adulti. Loro che per la troppa paura di rinunciare ai loro stereotipi e alle loro catalogazioni non riescono a vedere che “diverso” non è “malvagio”. Per me dunque sono quasi gli adulti i veri destinatari dello spettacolo; come succede nel finale a sorpresa che racconta di quanto un figlio come Alex possa insegnare qualcosa anche a dei genitori.

Silvia Perrone