Un tempo di durata sospesa, un inizio e una fine che non bastano, attendono un completamento, lasciano interdetti. Una voce che conta i passi, le distanze, un movimento spoglio e preciso che riesce, nella sua singolarità, a riempire la multidimensionalità di uno spazio, di una stanza. Una performance divisa in due atti, prima il silenzio e poi un crescendo di gesti fisici e dinamicità, suoni e momenti. Come un lento ed armonioso risveglio, come un lungo esteso passaggio, una sequenza di passi fluida, costante ma nel contempo diversificata in ogni istante. Un’ azione che si ripete, ritorna, si ripresenta, ai limiti della forza e della resistenza fisica.

Alessandro Sciarroni regala questo agli spettatori di Dialoghi_ Residenze delle arti performative a Villa Manin progetto ideato e curato dal CSS Teatro stabile di innovazione del FVG e ERPaC Ente Regionale per il Patrimonio Culturale: una performance ipnotica, coinvolgente nonostante il mezzo espressivo utilizzato, sicuramente inconsueto e apparentemente difficile da comprendere, ovvero una costante ripetizione di un movimento circolare intorno ad un asse variabile, una sorta di danza armoniosa e spiazzante, semplice e diretta.

©pz_sciarroni_009Chroma_ don’t be frightened of turning the page: è questo il nome che Sciarroni ha deciso di dare al suo ultimo progetto artistico, un titolo che cita apertamente l’omonimo testo di Derek Jarman nonché un album del gruppo rock Bright Eyes; un lavoro che si presenta come continuazione del progetto TURNING_migrant bodies version, un macro lavoro di ricerca, che ha portato alla realizzazione di numerose performance di danza contemporanea (ad esempio TURNING_thank you for your love version, presentata alla Biennale di Venezia, oppure TURNING_Shimphony of sorrowfull songs version, realizzata al MAXXI di Roma), nato da una riflessione intorno a quello che è il concetto di migrazione inteso come turning, evolvere, cambiare, rivoltare sé stessi. Concetti astratti che poi vengono tradotti concretamente e fisicamente in movimenti e coreografie gestuali impostate proprio su un tentativo di costante rotazione, alla ricerca di una dimensione circolare. Un progetto che dà importanza anche all’elemento sonoro, curato dal musicista Paolo Persia, di accompagnamento alla coreografia, ma nello stesso tempo parte integrante di essa.

Una performance che, una volta conclusa, lascia alcuni punti interrogativi, un senso d’incompletezza e straniamento positivo: è come se ci fosse bisogno ancora di qualcos’altro, di una conclusione. Tra l’altro, come ha spiegato Sciarroni all’inizio dello spettacolo, la coreografia non può essere ancora considerata finita, è ancora in fase di lavoro e di elaborazione, per poi essere presentato a Parigi in aprile.

Molto interessante, all’interno del movimento e della coreografia complessiva, è l’utilizzo della parte superiore del corpo, sia per quanto riguarda le espressioni non casuali del volto, sia per quanto riguarda, invece, i movimenti delle braccia e delle mani, capaci di modellare lo spazio in continue forme differenti e di diversificare e rendere disomogeneo un movimento ripetitivo e ipnotico del corpo, seguendo una precisa simbologia di non facile traduzione.

Un utilizzo senza dubbio efficace della spazialità a disposizione e del tempo, due dimensioni che in questa performance sembrano quasi unirsi e fondersi in un calcolo preciso, in una vorticosità capace di saturare e sospendere, fin dai momenti iniziali della danza, da quel conteggio metrico di passi che Sciarroni compie lungo le diagonali dello spazio scenico, nel più completo silenzio.

L’evento è stato realizzato all’interno del progetto Residenze delle arti performative a Villa Manin, un’idea creta per dare tempo e modo agli artisti per riflettere, sviluppare e mettere alla prova progetti creativi, processi performativi e teorici attorno al tema Dialoghi: confronto fra culture nell’area del Mediterraneo, in completa libertà e assoluta concentrazione. Le residenze sono pensate per generare delle vere e proprie comunità artistiche temporanee che non operano in isolamento ma, al contrario, in una ricerca di relazione permanente con il territorio e chi ci vive e ci opera.

Residenze delle arti performative a Villa Manin è un progetto realizzato con  il contributo del MiBACT – Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia.

foto di Giovanni Chiarot