Ci abito, attraverso i suoi marciapiedi, ci vado in bicicletta, apro l’ombrello nelle sue “rare” giornate di pioggia, ne ascolto i rumori e la osservo dal banco di scuola. Ci vivo, ma a volte mi domando se la vivo davvero questa città. Gli altri cittadini vivono veramente Udine? La conoscono?
Risulta complicato rispondere a queste domande, ma ho conosciuto una persona che forse un modo per risolvere il problema l’ha scoperto.
Rita Maffei, attrice e regista, scaglia l’arma del teatro. “N46° – E13°” è il titolo del progetto di arte partecipata del CSS Teatro stabile d’innovazione del FVG che vuole rispondere a questi interrogativi. Punti di domanda che trovano la loro forma in quarantotto cittadini che hanno accolto la chiamata della regista. Lavoratori, nonni, innamorati, studenti come me che costruiscono insieme una collettività di attori non professionisti, senza esperienze artistiche di rilievo alle spalle, ma con esperienze di vita pronte ad essere raccontate.
Momenti individuali, memorie autobiografiche, proposte di danza e di musica curate dalla coreografa Laura Della Longa e immagini impregnate di personalità scattate da Luigina Tusini.

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Tutto ciò è stato saldato insieme dalla maestria di Rita Maffei in due mesi di laboratorio teatrale, che per me ha acquisito più valore del debutto stesso dello spettacolo.
Il 5 novembre indica per noi partecipanti la sola data di conclusione di un percorso che mira ad andare oltre il palco e le mura della sala. Hanno recitato persone appartenenti a fasce d’età differente, inizialmente estranee fra di loro, ma con una simile intenzione: rispondere alle domande e coinvolgere gli spettatori nei medesimi interrogativi.

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“Spaesato” è la parola chiave, l’inizio di una riflessione sulla diversità, il baricentro su cui l’intero spettacolo si è articolato. Spaesati siamo noi, spaesata sono io, spaesata è la quotidianità o la novità.
Il tentativo di dare voce a questo tema ha richiesto grande energia e coraggio emotivo, attenzione e delicatezza nel narrare la realtà effettiva di questa città.
Udine, la città della pioggia, dello stare assieme sulle foglie autunnali, dei tavolini di piazza San Giacomo, di una parte di storia cantata dal Coro Popolare della Resistenza, dei pettegolezzi rivelati con la canzone “Il Valzer dei Veleni” scritta da Rebi Rivale, interpretata da Ornella Tusini e Nicoletta Oscuro.

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Lo spettacolo non va interpretato come un insieme di proiezioni di scene di vita, ma come il palco di autentici frammenti di esistenze condivisi da ogni partecipante. Storie di disagio, di Alzheimer, di leggerezza, di imbarazzo, di immigrazione, di amore e sorrisi che, se sommate assieme, danno come risultato una definizione di “spaesamento”.
Arriva poi il pilota, che ne è la metafora. Lui o lei, contornato da un alone di mistero e timore, si presenta come lo specchio che riflette tutti noi.
Quel Noi che io ho tentato di descrivere con una poesia, altri con la danza, altri ancora con parole registrate e custodite forse per troppo tempo nella nostra intimità.
“N°46 – E°13” è stata un’opportunità di sperimentazione, crescita e libertà; un’occasione preziosa che porta a dispiacermi per coloro che non sono potuti entrare al Teatro Palamostre e assistere ad uno spettacolo che conclude, nel suo stesso inizio, la sua intensa e breve esistenza.

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Un libro di Tiziano Terzani si intitola “La fine è il mio inizio” e anche questa nostra serata non morirà se gli spettatori avranno provato, al termine della rappresentazione, spaesamento e se si interrogheranno sulla relazione tra loro stessi e le coordinate riportate nel titolo.
E noi potremo dire che ancora una volta il teatro si sia rivelato forza comunicativa e creativa.

 ph. Giovanni Chiarot