Un’individuale pretesa di onestà, lontana dalla retorica, vicina ad un farsi e costruirsi quotidiano. Necessità di non identificarsi in una mitologia collettiva ma, piuttosto, in una ricerca individuale, in un essere in elaborazione, progetto personale e degli altri. Il diverso e l’altro come chiave per l’interpretazione di se stessi, come specchio, somiglianza, terrore di un agguato. Rita Maffei, con il suo ulti mo interessante spettacolo N46°-E13°, non tenta la rappresentazione di un luogo, tanto meno del sentire identitario di una città; invece, dà voce alle persone, dà loro uno spazio organizzato in cui raccontarsi, una modalità per dirsi. Non un parlare a nome di qualcuno ma, al contrario, semplicemente un mostrare per esternare un vivere, un relazionarsi con ambienti diversi, realtà differenti.

 

 

©pz_N46-E13_0254N46°-E13° foto Giovanni ChiarotLo spettacolo N46°- E13°, evento di apertura della nuova stagione del CSS Teatro stabile di innovazione FVG – Teatro Contatto 35, nasce, nelle intenzioni dichiarate della regista, come forma di teatro partecipato (ovvero un teatro realizzato da attori non professionisti, da persone comuni) e come ricerca di una possibile risposta ad una domanda, ripresa proprio ad inizio spettacolo: “ma se qualcuno, da lontano, atterrasse qui, a Udine, come gli potremmo raccontare dov’è capitato?”. Un tentativo, ecco, di dare una definizione autentica e complessa di uno stare e un abitare una città, Udine, alla luce di una contemporaneità particolare e difficile, in costante cambiamento e povera di paradigmi forti.

Senza pretese eccessive, senza voler dare definizioni, semplicemente interpellando le persone, permettendo loro di raccontarsi e mostrare, in un costante dialogo, diretto e privo di convenzioni teatrali, con il pubblico, Rita Maffei cerca di dare forma ad una condizione, lo spaesamento, che è esperienza comune e diversa in tutti, che è relazione difficile con l’altro e il diverso, paura, incapacità di trovarsi. Facendo realmente apparire in scena, sul palco, un cosmonauta estraneo e straniero, dall’identità oscura e generica, spinge a domandarsi, ad interrogarsi.

Una narrazione scenica che si sviluppa attraverso modalità e linguaggi differenti, dalla voce fuori campo che introduce, collega, spiega, riflette, fino al monologo, in prima persona, dei differenti attori, colti nella loro individualità, al centro del palco, senza poi dimenticare i momenti dedicati alla danza, gli spazi musicali, in particolare gli interventi del Coro Popolare della Resistenza di Udine e della cantante Nicoletta Oscuro, e le immagini visive, proiettate con un supporto digitale sul fondo del palco, quasi fossero un fondale scenico.

©pz_N46-E13_0225 ©pz_N46-E13_0202Un raccontare efficace, capace di coinvolgere realmente gli spettatori, in un costante identificarsi e riflettersi, domandarsi e specchiarsi, nell’impossibilità evidente di ottenere e trovare una risposta, nella difficoltà di accettare un’identità molteplice, di comprendersi, di accogliere il diverso che  mette in difficoltà perché, in definitiva, rende precaria ogni certezza.

 

 

 

©pz_N46-E13_0309Si può dire, dunque, un successo prima di tutto del pubblico (oltre che della regista e di chi ha reso possibile l’evento), degli appassionati, di tutte quelle persone che, da sempre o da poco, seguono con fiducia le scelte e le diverse stagioni del CSS e che si sono trovati, per una volta, coinvolti in prima persona, sul palco, invitati a raccontarsi, ad esprimersi. Un successo delle persone normali, straordinarie nella misura in cui ogni individualità lo è, di chiunque sia stato in teatro ad assistere allo spettacolo e anche di chi non c’era, di chi si è sentito voglioso di applaudire e di chi, invece, ha scoperto di sentirsi, anche lui, spaesato.

Image Credits: Giovanni Chiarot