Il palco è spoglio. Sparite le quinte, sparito il sipario, il fondale è bianco e in attesa di mostrare scatti e proiezioni di scena di Luigina Tusini. Ma presto tutto viene riempito dalle voci, dalle emozioni e dalle storie di 48 cittadini di Udine, tutti diversi e di ogni fascia di età, ma al tempo stesso accomunati da un intento ben preciso: raccontare e rappresentare la loro città, immaginando di doverla spiegare a uno sconosciuto, a uno spaesato che ancora non la conosce. Uno spettacolo di teatro partecipato, in cui musiche e oggetti di scena sono portati dagli attori, i quali sono, nella maggior parte dei casi, persone comuni che si trovano per la prima volta sulla scena. La regista, Rita Maffei, dalla platea e al microfono guida e accompagna i teatranti in un succedersi di parole e suggestioni, sotto lo sguardo coinvolto del pubblico che osserva, intensamente, questa straordinaria forma di vita chiamata teatro. Lo spaesamento è dunque il tema cardine attorno al quale ruota tutto: spaesamento rappresentato dall’immagine di un pilota senza volto (la stessa immagine che compare sulla campagna di Teatro Contatto 35), con tratti ancora da definire, completamente avvolto dalla tuta e coperto da un casco nero che sembra celare la chiave della verità, forse inaccessibile, ma anche vicina alle persone e intrisa della nostra quotidianità.

©pz_N46-E13_0397La realtà scomposta di oggi offre infatti l’occasione ideale per una rappresentazione di tal genere: il messaggio è quello di porsi interrogativi e di ricercare, e non dare per scontate, le risposte, continuare ad indagare gli altri e soprattutto sé stessi. Ma ritorniamo dall’inizio: la sala del Teatro Palamostre è immersa nel buio, lo spettacolo sta per iniziare. Quando si fa luce, una voce fuori campo dà inizio a tutto, ponendo la domanda essenziale: se qualcuno arrivasse qui, a Udine, la nostra città, cosa gli diremmo? Ed ecco che i teatranti compaiono al centro del palco, tengono in mano un microfono che si passano uno ad uno, presentandosi ognuno a suo modo, pronunciando il proprio nome. Da subito ci si rende conto del vortice di idee e storie diverse che si mescolano in questo spettacolo. Non si tratta di personaggi, bensì di persone, persone vere che hanno qualcosa da dire e da offrire. L’efficace e divertente scena delle divisioni sul palco dà occasione ai neo-attori di “schierarsi” a seconda delle indicazioni proiettate sul fondale, continuando così quest’opera di identificazione e presentazione di sé: maschi e femmine, residenti a Udine e non, innamorati e non innamorati…

©pz_N46-E13_0079Chi può essere lo “spaesato”? Lo spaesato è l’anziano che si trova ad essere solo, il profugo, il giovane che non trova lavoro, chi soffre di una malattia mentale, ma anche le persone stanche che, pensando ad altro, sbagliano strada mentre guidano, o persino una nuova iscritta a Zumba: un insieme eclettico e personalissimo di esperienze che alterna attimi più intensi e drammatici a momenti invece più leggeri e divertenti, perfettamente bilanciati. Ma gli attori non si fermano qui; scendono anche tra il pubblico, nella platea, e parlano direttamente agli spettatori, dando anche origine a una cacofonia di sottofondo quasi alienante che rappresenta perfettamente la collettività e la pluralità di persone. Poi, sulla scena, movimenti coreografici curati da Laura della Longa come controscena di parti recitate. E ancora: si assiste anche a una scena di tango, che contiene inscritta in sé quella passionalità trattenuta che spesso caratterizza gli abitanti di questa città. E una pioggia di foglie secche contribuisce all’atmosfera di sospensione e magia che cattura il teatro. Si susseguono altri monologhi, altri interventi, dove gli attimi più toccanti vengono efficacemente stemperati da altri invece meno densi ma non per questo meno significativi. Interviene anche il Coro della Resistenza, diretto da Nicoletta Oscuro, la quale inoltre canta una canzone scritta da Rebi Rivale, “Il valzer dei veleni”, che parla di ciò che non viene detto esplicitamente ma che si avverte, costantemente, nell’aria: pettegolezzi, parole sottili che sembrano insinuarsi sotto i cappotti grigi delle persone che passeggiano in piazza. ©pz_N46-E13_0255 Anche questo può raccontare la nostra città. Un momento di quotidianità come quello della vita in piazza non manca, di certo, sulla scena. Alcuni passeggiano, altri studiano, o leggono un libro, delle ragazze scattano fotografie, una donna cammina con il proprio cane. E quando uno di loro parla, gli altri si bloccano, in un fermo immagine assai ben riuscito. La realtà udinese, dunque, pezzo dopo pezzo, con tessere fatte di danza, parole, immagini, musica, azioni prende forma. Il finale è uno dei momenti più intensi e speciali dello spettacolo: gli attori continuano ad affluire sulla scena portando con sé degli oggetti scelti dagli interpreti come simbolo di luoghi e abitudini di una città (dal bancomat al portastrilli da edicola), impersonando quasi un rito pagano di offerta al pubblico e un tributo a Udine. Il crescendo culmina con la musica, il travolgente brano degli M83, Outro, che sembra inglobare tutto ciò che è stato detto, ballato o cantato sino a quel punto. Infine, a sorpresa, lo spaesato arriva davvero. Cammina, lento, mentre tutti guardano assorti, forse tentando ancora una volta di capire chi possa essere. E quando lo spaesato prende finalmente il microfono in mano e sta per parlare, cala il buio. Buio che significa anche silenzio, impossibilità di parlare, o semplicemente di trovare una risposta che sia presa per certa e definitiva. Quando torna la luce, sulla scena viene illuminato solo il casco: il pilota è sparito, ora resta solo la sua presenza metaforica e il fondamentale interrogativo che continua a risuonare in teatro.

©pz_N46-E13_0394Un esperimento certamente non facile, ma riuscito.E non risulta banale osservare l’originalità dell’idea iniziale, questo continuo “dare nome” a ciò che forse non ne possiede uno, oppure che non può accontentarsi di una sola definizione. Spaesati siamo tutti noi, spaesata è la nostra città che sta accogliendo ogni giorno persone nuove che arrivano da lontano; spaesate sono anche queste persone, spaesati sono i giorni che trascorrono, e forse spaesato è anche il futuro. Ora però esiste il presente: Udine, la nostra città, è diventata teatro il 5 novembre 2016, e i cittadini si sono trasformati negli attori che la recitano. Le loro domande non scompaiono una volta finiti gli applausi, sinceramente sentiti, degli spettatori. Resta per tutti, attori e spettatori, che a questo punto si sentono più uniti, l’interrogativo. Starà a noi continuare a cercare la risposta.

Virginia Bernardis (Liceo classico Stellini di Udine)

ph.Giovanni Chiarot