Accento romano, brillante prontezza e battute che non vedono l’ora di raggiungere le orecchie di chi sta parlando con lei. Anche fuori da uno studio televisivo o un palcoscenico la sua missione porta il nome di “divertimento”.
Assomiglia ad una spia che collabora con l’agenzia della risata e si chiama Virginia Raffaele, ma abbiamo ancora diversi dubbi sull’autenticità del suo nome, dal momento in cui è sempre stata avvistata nei panni di cantanti, showgirl o note personalità italiane.
Una vera agente segreta che si nasconde nelle sue scrupolose imitazioni e interpretazioni ingegnose che la portano ad investigare la natura di altre donne.
Questa volta, però, noi abbiamo tentato di estrapolare qualche informazione sul suo conto.
Cresciuta nel luna park dell’Eur a Roma fondato dai nonni e diplomata nel 1999 presso l’Accademia Teatrale Europea del Teatro Integrato Internazionale, Virginia Raffaele è arrivata per la prima volta a Udine il 9 novembre ospite della Stagione Teatro Contatto 35 del CSS,  accolta da un tutto esaurito al Teatro Nuovo, per portare nella nostra città la sua missione teatrale intitolata “Performance”. Noi ragazze della redazione Contatto Tx2 non ci siamo fatte sfuggire l’occasione per investigare sul suo misterioso estro creativo. Esordendo con “Io porto Leopardi, voi quali materie avete portato?”, l’attrice romana ha provato a sviare le nostre indagini di giovani studentesse intimorite. In seguito, però, ha lasciato le redini dell’ironia per dare spazio a parole in grado di esprimere perfettamente la sua professionalità e la sua talentuosa compostezza.

Nel costruire i personaggi che interpreta quale tipo di lavoro è richiesto da parte sua?
Sicuramente il primo lavoro è di tipo istintivo, cerco di rilassarmi il più possibile e vado verso il personaggio da interpretare in base alla simpatia. Non c’è una mira socio-politica nella scelta.
Poi c’è uno studio a partire dal timbro di voce, dalla prossemica, dal tipo di movimenti e uno studio delle caratteristiche umane, caratteriali e di relazione della persona nei confronti di ciò che la circonda.
È un lavoro quasi di psicoanalisi, in realtà, perché, per come lavoro io, cerco di entrare il più possibile nella personalità. Non cerco l’imitazione, ossia la riproduzione esatta degli atteggiamenti, ma la reinterpretazione di quell’animo umano. Di conseguenza provo ad evolvere quella persona in situazioni che potrebbe non aver mai vissuto realmente e mi relaziono a ciò che accade partendo dalla sua interiorità.

Foto_Performance_Ali&Eli (2)Per interpretare i mille volti che porta sul palco in qualche modo lei si spoglia di molte parti di se stessa, ma quali non si toglie mai e mantiene sempre?
Non mi spoglio del mio punto di vista, cioè continuo ad interpretare una persona, però è tutto filtrato dalla mia visione personale; c’è la mia critica, il mio complimento, il mio prendere in giro. Se un personaggio mi sta più simpatico di altri, lo trasformo in un’altra cosa, ma sempre secondo il mio punto di vista. Ad esempio è una mia idea il fatto che la Vanoni sia colei che dice “abbiamo fatto l’amore”, ma in realtà non l’ha mai detto e sono io che ritengo che possa dirlo benissimo.

Quale significato ha portare lo spettacolo “Performance” nei teatri e rispetto alla televisione in quale dei due tipi di linguaggio si sente più a suo agio o quale la intimorisce maggiormente?
La possibilità che dà il teatro è di dare un respiro maggiore ai personaggi sia a proposito del tempo e sia del luogo. Quando sei in televisione il personaggio deve durare tre, cinque, otto minuti perché comunque i tempi televisivi sono diversi da quelli teatrali. Con il teatro ho la possibilità di indagare più a fondo e di sviluppare le interpretazioni in più tempo. Inoltre il live ti regala un’energia e un modo di comunicare con la presenza fisica degli spettatori.
Sono due linguaggi totalmente differenti, quindi non c’è una preferenza; ci sono differenze effettive ed inequivocabili. In teatro ogni sera mi metto in gioco, lo spettacolo cambia a seconda delle atmosfere, delle energie e del pubblico, che ha una maggiore attenzione. Loro infatti escono di casa, prendono la macchina, parcheggiano, comprano il biglietto, si siedono e scelgono te; in televisione ti trovano oppure ti scelgono perché ti seguono. Il teatro porta quindi il pubblico ad un’azione fisica e si crea uno scambio reciproco più caldo.

Foto_Performance_Ali&Eli (1)Quale ruolo gioca l’autoironia nel suo modo di lavorare o nella sua vita?
Nel mio modo di lavorare c’è soprattutto ironia; nello sparire totalmente dentro un personaggio c’è invece autoironia ed essa ci deve essere quando da trentasei passi ad ottantadue anni. L’autoironia sta nel non preoccuparti se sei più brutta, bella, alta, grassa o magra, buffa; inizi a giocare con te stessa, ma devi essere ben salda sui tuoi principi.
Nella vita, ovviamente, ce ne deve essere moltissima ed è la cosa più difficile da avere.
Nei miei personaggi il filo conduttore è però l’ironia della comicità e devi essere capace di seguirlo perché non si tratta solo di beffeggiare una persona o prenderla in giro, ma di un modo più alto di catalogare le personalità.

È complicato stabilire se la nostra lente di ingrandimento, ricca di curiosità, sia riuscita a mettere in evidenza l’insieme delle componenti nascoste che contraddistinguono l’elegante personalità di Virginia Raffaele.
Sul palco o di fronte a una telecamera televisiva l’attrice è avvolta da un alone di misteriosa duplicità, ma a distanza di sicurezza dalle scene il flusso di interrogativi sulla sua vera identità si protrae e diventa la perfetta costante che ci consente di ammirare la Raffaele non solo sul piano artistico, ma anche su quello personale per la sua singolare riservatezza.

 

Carlotta Frizzele, Lorena Leccese, Anna Chiara Vigna, liceo scientifico Marinelli

(nella foto: in centro Virginia Raffaele e da sinistra

Carlotta Frizzele, Anna Chiara Vigna, Lorena Leccese e Camilla Castellano)