“Mia natura è di essere
presente: amare
la realtà che sento: toccare,
divenire queste morenti cose
salvarle nel mio gesto
di pietà.”

(da “Io non ho mani”)
Un uomo solo, anziano, dalla voce cavernosa, ispida, strascicata, si rivolge al pubblico. Come David, il giovane pastore che sconfisse il gigante Golia in combattimento, così quest’uomo nella sua vita ha osato sfidare i Golia del mondo, armato unicamente della sua fionda, le parole. Padre David Maria Turoldo, nato un secolo fa a Coderno di Sedegliano, è stato un poeta, un sacerdote, uno sempre schierato con gli ultimi, di cui lui stesso ha fatto parte durante la poverissima infanzia.

Ecco che sul palco al vecchio si sostituiscono dei giovani, dei bambini, intenti a farsi beffa di un nuovo arrivato, di uno più povero di loro e che per queste beffe crederà di dover essere sopportato dagli altri per il resto della vita. Da questo momento, di volta in volta, i giovani attori interpretano Turoldo in una diversa fase del suo cammino, passando dalla Resistenza degli anni ’30 ai primi scontri con la Chiesa, dalle riprese del suo film al completo appoggio a Papa Giovanni Paolo II, fino alla dolorosa morte di cancro del 1992. Con il racconto della sua biografia, un racconto dominato dai suoni di una vita – canti popolari, ritmi, schiocchi di dita, battiti di mani come battiti di un cuore sempre coinvolto – Fabiano Fantini e la giovane compagnia di attori, composta da Irene Canali, Miriam Costamagna, Daniele Palmieri, Giacomo Segulia, Mauro Sole, Francesco Tozzi, Francesca Zaira Tripaldi e riunita dal regista Massimo Somaglino, ci forniscono un ritratto di padre Turoldo dettagliato e allo stesso tempo commovente. Lo spettacolo noi lo abbiamo visto a Udine, al Teatro S. Giorgio (stagione Teatro Contatto 35)  a un giorno dal debutto in prima assoluta a Sedegliano, paese di Turoldo.

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Emerge, nel Canto e la fionda, la dedizione che quest’uomo poneva in ogni sua azione, la volontà di seguire sempre gli insegnamenti del Vangelo, di saldare strettamente il dire e il fare, resta impressa la coerenza di un uomo che pure non era perfetto: a volte perdeva la pazienza, non esitava a dire cose sconvenienti, perfino ad adirarsi contro Dio, durante le messe, che per primo celebra leggendo la Bibbia in italiano.

Debordante nel pensiero, smisurato nel furore e nell’imprecazione, un “disturbatore della quiete pubblica”, viene definito, di quella quiete immersa nell’ipocrisia e che si mantiene cieca di fronte alle condizioni di chi non ne fa parte. Così è percepito perché cerca di risvegliare chi sonnecchia, di scuotere chi si è rammollito e per pigrizia si rifiuta di aprire gli occhi. “La carità è una puttana: non serve a nulla se non è di tutti”, persiste nell’affermare e nel provocare, non temendo di farsi nemici molti fra i politici e gli intellettuali laici ma soprattutto fra gli ecclesiastici. Eppure il modo di fare di padre David è onesto, coerente, coinvolto nella storia con tutti i sensi, quotidianamente.
“Io sono povero e mi servo alla mensa dei poveri con i poveri”; di questo è convinto, che la povertà sia l’unica strada verso l’utopia della fratellanza. Si sente tanto vicino agli ultimi da volerne denunciare le misere condizioni in un film, “Gli Ultimi” del ’63, girato interamente in Friuli. Non a caso sceglie il Friuli: durante tutto il corso della sua vita è rimasto sempre in primo piano il suo attaccamento per quella terra “tanto bella quanto povera”, terra di lavoratori e di grappa.

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Padre David muore nel ’92 a causa di un cancro al pancreas. “Il drago è certo”, scrive dopo la conferma da parte dei medici. Si spegne dopo aver lasciato un’ impronta difficilmente cancellabile dalla storia della Chiesa, dell’Italia e del Friuli, si spegne con le stesse convinzioni che lo hanno accompagnato sempre e che dovrebbero continuare a vivere sulle gambe di chi lo vuole ascoltare: che non bisogna dare per carità ciò che a qualcuno spetta per diritto e che la giustizia è quella cosa per cui quella coperta che non usi non è tua ma del tuo compagno che ha freddo.

 

Emma Mattiussi

Liceo classico Stellini

ph. Giovanni Chiarot