Sono passati 500 anni dalla prima edizione dell’ “Utopia” di Thomas More, ma gli interrogativi, le problematiche e i temi caratteristici dell’opera interessano ancora nel profondo la società di oggi. Alessandro Marinuzzi, regista e curatore del percorso di ricerca Dialogues about Utopia/Utopia is More, è risalito all’origine di questo spiazzante mito culturale nato nell’Inghilterra del XVI secolo per confrontarlo con le domande dei giorni nostri, sviluppando idee, appunti sparsi, materiali eterogenei, forme d’arte. La sede che ospita il momento aperto al pubblico è la Residenza delle Arti Performative a Villa Manin, dove dal 2015 formazioni teatrali, performer, affermati o emergenti possono trovare uno spazio a loro riservato grazie a Dialoghi, il progetto che apre alle arti performative gli spazi espositivi della villa di Passariano e curato dal CSS Teatro stabile di innovazione del FVG.

Sono luoghi in cui sperimentare, provare, confrontarsi anche tra nazionalità diverse dove si creano delle vere e proprie comunità artistiche temporanee in stretto contatto con il territorio. E’ il posto adatto per ideare e pensare, nonché a sviluppare un senso di collettività tra i partecipanti. Un’iniziativa nuova, coinvolgente e in divenire, esattamente come il progetto del Collettivo guidato da Alessandro Marinuzzi e che coinvolgeva tre attori italiani e un attore portoghese,  Luca Carboni, Ruggero Franceschini, Daniele Molino e Gabriel Da Costa.

Non si tratta di uno spettacolo tradizionale, ma di una prova aperta, di uno startup che ha sperimentato più direzioni sceniche e di senso. “Vi mostriamo il nostro modo di prendere appunti”, sono le parole stesse del regista.

Cos’è ‘Utopia’ di Thomas More e che connessione si innesca con quest’opera durante la Residenza

L’Utopia di More (1516) è una societas perfecta, in cui gli abitanti conducono un’esistenza pacifica e tranquilla, come inglobati in una bolla che li separa dalla caotica realtà circostante. Utopia è letteralmente un non-luogo, o meglio: “l’ottimo luogo che non è in nessun luogo”. Qui, ogni cosa sembra funzionare: la proprietà privata è abolita, i beni sono in comune, tutto il popolo lavora la terra in un arco di tempo già stabilito, sei ore, dopo le quali ognuno si può dedicare allo studio, soprattutto filosofico, e al riposo. E, dato ancor più eclatante, è prevista la libertà di parola e vige la tolleranza religiosa (atei esclusi) in virtù di una religione naturale ufficialmente riconosciuta. Niente denaro, niente guerre, niente disordini sociali. Agli occhi dei più, Utopia appare esattamente come un paradiso sceso in Terra.

Eppure i lati negativi ci sono e sono legati ad ambiti fondamentali per l’uomo, come la libertà e la famiglia. Fino a che punto un cittadino può definirsi “libero”, se il numero dei suoi figli è rigorosamente controllato? Se la scansione temporale della giornata è uguale per tutti? Se la vita si basa sulla comunanza di tutto e la personalizzazione del singolo sembra infrangersi contro l’omologazione di massa? Forse, all’interno del luogo perfetto, esiste anche la crepa di una idealizzazione estrema. E forse è proprio questa crepa a suscitare le domande chiave che animano la Residenza del Collettivo Eutopia X.

Tutto il work in progress certamente ha il suo centro nel mito dell’Utopia di More, ma ciò che ne deriva è un percorso originale e vitale di suggestioni diverse che coinvolgono, dall’inizio alla fine, lo spettatore, insieme a sfumature ed accenni più o meno espliciti a questioni basilari del passato, del presente e del futuro. Le parole circolano, le immagini si susseguono, la musica avvolge. Infatti ciò che anima, che forma e che fa vivere questa Residenza è arte, o meglio, frammenti di arte: foto, oggetti sparsi, suggestioni, video, dialoghi, musica. Il tutto accompagnato da un uso largo e nuovo della multimedialità. Non è uno spettacolo che si possa definire con un solo aggettivo, “bello” o “brutto”, così come il suo contenuto non è riassumibile in una sola frase. Sono proprio questi appunti, queste idee non per forza legate tra loro da un unico filo conduttore a rendere diverso il progetto inscenato dal Collettivo Eutopia X. Insomma, una rappresentazione che si differenzia dal tradizionale prodotto scenico, addirittura a partire dall’avviso iniziale da parte di Marinuzzi, che invita il pubblico non a spegnere i propri cellulari, come di consuetudine, ma ad accenderli.

Virginia Bernardis (Liceo classico Stellini di Udine)

ph. Giovanni Chiarot