Abbiamo avuto il piacere di incontrare Alberto Bevilacqua, uno dei soci-fondatori e attuale Presidente del CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia nel foyer del Palamostre.
Quella che all’inizio doveva essere un’intervista sulla nascita del CSS a Udine e sul suo sviluppo, si è subito trasformata in una piacevole conversazione e, per certi versi, in una “lezione di filosofia”, ma soprattutto di vita. Uno scintillio di emozioni per i tanti ricordi gli ha illuminato gli occhi quando ci siamo presentate come studentesse del quarto anno del Liceo Stellini. Così siamo subito partite con le nostre domande.
Quali motivi hanno spinto dei giovani sedicenni a fondare un’associazione culturale che poi è diventata nel corso degli anni quello che oggi è uno dei più qualificati teatri e centro di produzione in Italia?
L’idea iniziale è fondamentalmente riconducibile a tre elementi: il periodo storico, il momento soggettivo di maturazione e quello che mi piace chiamare “elemento casualità”. Era la fine degli anni ‘70 e nell’aria si respiravano quei sentimenti di aggregazione, di condivisione, di un “vivere comune”, di esperienze non mediate – al contrario dei social, dei cellulari e di tutti i moderni gadget elettronici che fanno da filtro alla realtà – che oggi percepiamo più distanti.
Noi giovani sentivamo in prima persona la responsabilità sociale di agire e di intervenire attivamente nella comunità a vantaggio della stessa, forse molto di più rispetto alla vostra generazione. Il solo fatto di esistere ci rendeva consapevoli delle nostre infinite possibilità.
Frequentavamo il quarto anno del Liceo classico Stellini, l’anno con il programma di studi più stimolante e coinvolgente sul piano personale. In particolare, la filosofia che si faceva sempre più complessa e i pensatori dal Cinquecento all’Ottocento che cominciavano a spostare la loro attenzione sull’uomo e sui suoi problemi esistenziali, ci spingevano a riflettere e a interrogarci circa noi stessi, il mondo circostante e il nostro posto in esso. Tante le domande, tante le risposte che non sapevamo darci, tanti i sogni. Eravamo in equilibrio con la nostra formazione e la nostra “potenza in atto”, adesso mi spiego – dichiara con grande entusiasmo Alberto Bevilacqua, che prosegue:
“Ragazze, vi svelo un segreto, voi giovani siete potenti, potete fare e diventare quello che volete, potete essere tutto, però, non siete forti, in quanto la forza si acquisisce con l’esperienza. Certo, col tempo lo diventerete, ma in cambio invece perderete la vostra spregiudicatezza nel guardare avanti e la vostra elasticità. L’ “elemento casualità” nel nostro caso si può identificare nella fortuna di aver avuto un insegnante di storia dell’arte che fosse anche consigliere dell’allora Assessore alla Cultura. Da anni era tradizione che alcuni studenti volontari organizzassero una mostra che raccoglieva creazioni artistiche di altri studenti. Il nostro insegnante chiese ai suoi allievi chi fosse interessato a partecipare all’organizzazione del progetto. Mi offrii subito volontario insieme ad altri ragazzi di altre classi. Non avevamo nessun punto di riferimento o qualcuno a cui chiedere aiuto, dovevamo partire da zero. Il nostro progetto durava cinque giorni durante i quali veniva dato spazio ai talenti artistici, non solo c’era l’allestimento delle creazioni, ma anche spettacoli musicali e teatrali, di tutti gli studenti delle scuole di Udine. L’idea di proporre cultura ci piaceva, era un modo per entrare in relazione con l’altro e per ampliare i contatti con il territorio regionale. La cultura poteva essere il nostro mezzo per arricchire il pubblico di emozioni.
Come fu accolta la vostra idea dal cosiddetto “mondo degli adulti”? Il momento della pratica si supera se c’è una convinzione teorica di fondo, la fatica è da mettere in conto. Gli adulti erano meravigliati, stupiti, sorpresi nel vederci così determinati. Ci davano fiducia. Il punto è che bisogna essere capaci di superare tutte le nostre paure per realizzare i nostri sogni. Il problema non è vincere, ma vivere e arrivare alla fine senza rimpianti. Passiamo tutta la nostra esistenza a scolpire un blocco di marmo, per renderci conto solamente a cinquant’anni che in realtà in quel blocco di marmo stavamo scolpendo noi stessi attraverso ogni nostra scelta, anche la più piccola. All’inizio non è stato facile, abbiamo dovuto chiedere ai nostri fratelli maggiori una mano con la burocrazia, ma la nostra testardaggine ci ha permesso di andare avanti.
Come è cambiato il rapporto con il pubblico nel corso di tutti questi anni?
Il teatro è una modalità di affrontare la quotidianità. Noi siamo per scelta un teatro di innovazione, noi ci occupiamo di teatro contemporaneo e delle nuove frontiere dei linguaggi artistici multidisciplinari, è la proposta degli spettacoli che produciamo e ospitiamo quella in cui ci ritroviamo. Il teatro non è solo il palcoscenico, ma anche la proposta culturale in tutte le sue declinazioni che decidiamo di portare avanti.
Per noi gli spettatori non sono e non sono mai stati solo pubblico, ma persone che partecipano attivamente alla scena. Negli anni ‘70 erano lo specchio di una società e della classe cui appartenevano; questa suddivisione e questo sistema di riconoscimento sono saltati solamente negli anni ‘90. Oggi tutto è in continuo cambiamento, ci sentiamo tutti parte di un’unica classe, ciascuno di noi si riconosce in una diversa fascia di interesse. Il senso di chi fa teatro è costruire specchi in cui la società possa ritrovarsi anche se questo può non essere sempre piacevole. Bisogna quindi intercettare chi ha voglia di condividere i diversi lati della nostra società poliedrica. Quello di oggi è un pubblico che perdi e riacquisti, che cambia con il teatro mentre il teatro cambia con lui.
Zoe Magliocchetti e Chiara Locatelli (Liceo classico Stellini di Udine)
nella foto da sinistra Chiara, Zoe e Alberto Bevilacqua