All’inizio di marzo noi ragazzi del gruppo dell’Alternanza Scuola-Lavoro, impegnati nella redazione Contatto Tx2, abbiamo avuto la fortuna di incontrare e intervistare Matteo Angius, Gabriele Benedetti e Aida Talliente, tre degli attori della Compagnia diretta da Fabrizio Arcuri, regista degli spettacoli Pinocchio e Cenerentola di Joël Pommerat, le due nuove produzioni targate CSS in scena per due settimane alla fine di febbraio per la Stagione Contatto 35.
Siamo entrati subito nel vivo con la nostra prima diretta domanda:
Tra lo spettacolo di Cenerentola e quello di Pinocchio, in quale personaggio vi siete trovati più a vostro agio?
AIDA: Non ho un personaggio preferito. Per quel che mi riguarda in Cenerentola i personaggi erano molto circoscritti, vincolavano la storia fino a un certo punto, mentre in Pinocchio la struttura era più mobile, infatti nella Fatina mi era permesso dire delle cose che da copione non ci sarebbero, sono solo frammenti, il pubblico magari neanche se ne accorge, ma cambiano qualcosa nel modo in cui interpreto il personaggio, e grazie a questo si può trovare sempre qualcosa di nuovo, e in base alla situazione la struttura può essere rotta e probabilmente Pinocchio lo permetteva di più.
GABRIELE: Domanda difficile, mi sono trovato bene in tutti e due, mi diverto in entrambi gli spettacoli. Sicuramente sono affezionato alla fatina di Cenerentola, essendo un personaggio molto lontano da me. La fatina è un personaggio che è assolutamente incapace di fare qualsiasi cosa, ma nonostante questo, riesce a fare comunque del bene, e gliene rendo merito.
MATTEO: sicuramente Pinocchio è ricco di libertà e veramente ci sono stati dei momenti parodistici nei quali ho un po’ sofferto, nei quali ho sentito un certo imbarazzo che poi era giusto, nel meccanismo richiesto, quindi se devo scegliere scelgo Pinocchio. Comunque poi in modo strano, incredibilmente, nel fare una cosa che non farei normalmente, come ad esempio in Cenerentola un ragazzino innamorato, mi sono anche divertito, è stato diverso, mi sono sentito spostato da quello che io sono nella quotidianità.
Qual è il senso di queste due riscritture? Come mai mettere in scena delle fiabe? Dove è la potenza di questi due testi?
MATTEO: Fabrizio Arcuri è abituato a lavorare su drammaturgia contemporanea originale, tedesca, inglese e italiana, non tanto francese. Quindi è nata la curiosità, anche molto semplice, di andare geograficamente in una lingua e in una scrittura per il teatro che non aveva ancora frequentato. D’altra parte è vero che lo incuriosiva il fatto di mettere in scena delle storie che sono molto conosciute. Arcuri è solito lavorare con testi anche fragili, dal punto di vista della storia e che quindi hanno bisogno di molto lavoro, in questo caso invece è successo l’inverso. Del resto Fabrizio quando inizia a mettere in scena uno spettacolo non sa esattamente dove vuole arrivare, quindi non penso abbia cominciato perché ha trovato chissà quale significato in queste riscritture, secondo me era molto curioso di lavorare su questi due testi che appartengono ad una Trilogia che comprende anche Cappuccetto rosso.
Quale è stato lo sviluppo personale di ogni personaggio?
GABRIELE: Partiamo dalla fata: mi sono trovato a prove, ho letto il testo e ho cercato i ruoli maschili possibili. Nessuno mi piaceva e quindi ho pensato di fare la fata e l’ho proposto al regista. Abbiamo lavorato di improvvisazione, sulla base della comunicazione, sulla base dell’ascolto e delle reazioni possibili. In ogni caso prima delle prove Fabrizio ci lascia molto liberi di vedere cosa può saltar fuori, poi magari cestina le nostre idee o le mette insieme, e questo alle volte crea un certo disagio, perché inizi un lavoro dal nulla, pensando addirittura di non saper fare l’attore e poi ti scopri, creando qualcosa di autentico.
MATTEO: Inizialmente lavoriamo in modo collettivo, poi ovviamente andiamo a casa, leggiamo il testo, capiamo che in quella determinata situazione vogliamo aggiungere delle azioni, oltre alle quelle che Arcuri richiede e che ci devono necessariamente essere.
AIDA: Solitamente io ho bisogno di tanto tempo per lavorare su cose che non conosco e capire dove stanno, per quanto mi riguarda si parla di mesi di lavoro, quindi quando mi trovo con uno, due mesi di lavoro io di mio posso mettere poco, il personaggio rimane superficiale, mi appoggio dove so che mi posso appoggiare. In questi due mesi di lavoro, da attore, posso dirti che la mia ricerca è stata quasi pari a zero. E quindi è stato un seguire un flusso di tutto il gruppo. Non c’era molto spazio per andare a fondo.
Siete contenti alla fine di queste due produzioni, del risultato degli spettacoli?
Assolutamente sì.
Teresa Bondavalli (Liceo scientifico Giovanni Marinelli)
nella foto in alto a sinistra Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Aida Talliente e la scenografa Luigina Tusini tra i ragazzi