Perché amore? Questa la domanda d’apertura dell’incontro con Francesco Sframeli e Spiro Scimone, i due artisti fondatori a Messina nel 1994 della Compagnia teatrale che porta i loro stessi nomi, e noi ragazzi coinvolti nel progetto di Alternanza Scuola-Lavoro con il Css.  Due artisti, sedici ragazzi e centinaia di parole: l’incontro si è svolto nel pomeriggio di venerdì 10 marzo, nella sala Cechov del Teatro San Giorgio di Udine. Francesco Sframeli, attore e regista, e Spiro Scimone, attore ed autore del pluripremiato spettacolo “Amore”, in scena sul palco dello stesso teatro, assieme agli attori Gianluca Cesale e Giulia Weber, lo scorso 11 marzo per la Stagione Contatto 35, hanno quindi accolto e risposto alle domande di noi ragazzi in un dibattito, moderato da Fabrizia Maggi (co-direttore artistico del CSS).Questo incontro si è rivelato l’occasione ideale per discutere su molteplici, fondamentali aspetti del Teatro, un teatro con la “T” maiuscola, quali il processo creativo che porta alla stesura di un testo o il modo in cui l’attore vive il momento scenico. I due artisti hanno subito avvicinato le loro sedie a quelle di noi ragazzi in favore di un dialogo aperto verso più direzioni: in una stanza raccolta, domande e risposte si sono così susseguite in un circolo di parole vibranti di spessore. Siamo entrati subito nel vivo, chiedendo perché Sframeli e Scimone abbiano scelto di incentrare il loro spettacolo proprio sul tema dell’Amore. Gli attori in primis hanno infatti affermato che si tratta di un argomento ormai assai comune, talvolta inflazionato, ma hanno raccontato di aver avvertito la necessità di parlarne sotto una luce diversa. “Amore è uno spettacolo sulla paura di amare, paura di vergognarsi, paura del giudizio degli altri in materia d’amore” ha dichiarato Spiro Scimone. Di certo, ciò che non ha interessato il loro lavoro è la banalità: perché i protagonisti di “Amore” sono coppie di anziani, una eterosessuale ed una omosessuale, in cui tuttavia non si parla solo dell’amore maturo, ma anche di quello giovanile grazie a frequenti richiami e ricordi del passato. Un’impostazione, dunque, diversa dal solito, originale, in grado di far riflettere lo spettatore: si è posto l’accento su quanto sia importante cercare di cambiare la persona che guarda lo spettacolo, di indurla a ripensarci, di suscitare curiosità. La magia del teatro non deve esaurirsi una volta spente le luci e chiuso il sipario: si potrebbe dire che parte integrante dell’esperienza teatrale continua oltre, sotto la forma di nuovi interrogativi e nuove risposte.

Con entusiamo hanno espresso chiaramente quale sia la loro idea di teatro: “Il teatro è un gioco, un gioco serio” ha affermato con passione Sframeli. “Teatro è accogliere e dare tensione, e l’attore deve essere aperto alle sensazioni per poterle poi condividere con il pubblico. E in tutto ciò esiste sempre un ritmo che, assorbito nel corpo, diventa poi armonia. Questa è l’armonia che deve crearsi in teatro, sul palco e nella platea, mentre l’attore e lo spettatore vivono insieme” ha concluso Sframeli.

L’incontro si è sviluppato con un altro tema fondamentale: il processo creativo che porta alla realizzazione di uno spettacolo. Scimone ha raccontato cosa significhi per lui scrivere e rappresentare uno spettacolo, ha descritto quella sensazione di “riempimento” che diviene successivamente uno “svuotamento” artistico. Essenziale è, prima di impugnare la penna, conoscere la realtà per giungere a sfiorare il surreale, e trasmettere verità, autenticità attraverso un meccanismo di finzione. “Il teatro”, ha continuato Scimone, è “far conoscere la finzione e la realtà per poi riconoscere la finzione nella vita vera”.

Per quanto riguarda il testo, l’autore ha fatto notare come, per la messa in scena, non sia mai definitivamente pronto. Un testo non è qualcosa di fisso o schematico, è in continuo divenire, e basilare è l’attiva collaborazione con gli altri attori. La loro concezione del teatro, ha precisato Sframeli, non contempla un distacco autoritario tra regista e attore. Lo ha ribadito anche Spiro: “Si deve lavorare insieme, partendo dal corpo dell’attore. Prima di scrivere le parole dei testi, è necessario capire come si muove il personaggio, cosa rappresenta il suo fisico, com’è fatto quel corpo. Poi, le parole vengono fuori da sé. Si potrebbe definire questo processo un’immaginazione fisica. E, cosa ancor più importante, si deve cercare la quintessenza”. A questo proposito Francesco Sframeli ha citato le meravigliose parole del celebre regista teatrale e cinematografico Peter Brook: “Tieniti forte e lasciati andare con dolcezza”. E “succederà qualcosa di forte” ha aggiunto Sframeli.

“Il teatro è una continua scoperta, che, però, devono essere in grado di capire tutti. Ed è anche libertà, mettersi sempre e continuamente in gioco”. Il teatro, hanno svelato gli attori “insegue la realtà, ed il suo compito è quello di catturare le anime. La relazione con il pubblico è in questo modo viva, è uno scambio di energia. Ma oltre alle parole, c’è anche il silenzio. Il silenzio ha una forza immensa. Non è un vuoto: è composto di pensieri. Il silenzio, più precisamente, stimola tali pensieri e li plasma, dando loro una nuova forma”. Inoltre, ha precisato Sframeli, “il teatro deve essere sporco; è una tensione periferica che vola via. Non è nulla di eccessivamente elevato rispetto a ciò che è quotidiano ed essenziale. Il teatro guarda i dettagli di ogni giorno, pertanto ogni singolo gesto serba in sé un suo particolarissimo significato. E questa tensione periferica vola via quando l’attenzione negli spettatori si mantiene viva. Ciò che viene rappresentato sul palcoscenico è uno stimolo, la chiusura non è ammissibile, l’apertura è dunque assoluta. E uno spettacolo non è mai lo stesso: ogni sera è diverso, ogni sera deve necessariamente cambiare”. Ma come si vive, allora, questo teatro? La risposta è stata presto data: dal vivo. Lo spettatore deve entrare in teatro, deve percepire sulla propria pelle le emozioni che si generano, e in quell’attimo egli fa parte di una sorta di comunità assieme agli altri spettatori e agli attori stessi. Non esiste la solitudine, in teatro.

L’incontro si è concluso con la riflessione di quanto sia fondamentale e vincente l’essenzialità per il teatro della Compagnia siciliana. Bisogna lavorare a sottrarre, hanno svelato gli attori: non dire troppo (né naturalmente troppo poco), e… lasciare un po’ di magia.

Virginia Bernardis (Liceo classico Stellini)

nelle foto da sinistra

Francesco Sframeli, Fabrizia Maggi, Spiro Scimone, Giulia Weber e Gianluca Cesale