Massimo Somaglino

Noi ragazzi dello Stellini, dopo aver visto lo spettacolo Il canto e la fionda _ Pensiero e vita civile di David Maria Turoldo, abbiamo avuto il piacere di incontrare il regista e drammaturgo Massimo Somaglino per parlare di questo suo ultimo lavoro, che tornerà in tournée nella prossima Stagione 2017/2018

Il canto e la fionda_ Pensiero e vita civile di David Maria Turoldo ph. Giovanni Chiarot”

Il lavoro di preparazione allo spettacolo è stato lungo. Turoldo è stato uno scrittore molto prolifico e più volte messo in scena. Volevo fare qualcosa di diverso, non uguale agli altri spettacoli che proponevano semplicemente la lettura dei suoi testi. – inizia a raccontarci Somaglino che prosegue – Mi sono documentato su tutto ciò che poteva rendere il mio personaggio di Turoldo vivo e tridimensionale. Ho incontrato e intervistato più persone che hanno vissuto con lui e che lo hanno conosciuto. Uno tra questi è padre Geremia che è stato al suo fianco per venti anni. Dal colloquio con padre Geremia è emersa l’immagine di un uomo come uomo dal carattere impegnativo, la cui mentalità era spesso in contrapposizione con quella dei frati del convento eppure senza di lui il convento non esisteva”

Quanto è attuale Turoldo, quanto è necessario farlo conoscere?

Turoldo è conosciuto quasi solo all’interno del Friuli nonostante sia stata una figura di spicco e che si è dedicato agli altri. E’ stato in Sudamerica, per esempio, dove aveva iniziato a scrivere un martirologio sulle persone che sparivano e ha inventato le marce della pace, però, questo nessuno lo conosce. Mi sentivo in dovere di consegnare qualcosa ai giovani attori che avevano aderito alla chiamata. Abbiamo così messo in piedi un laboratorio perché i ragazzi potessero capire il messaggio vitale di Turoldo. Nella realtà di oggi è ammirabile per la sua ostinazione, per la sua anima combattiva per difendere gli ultimi, per aver trasmesso i suoi valori agli altri ed essere stato vicino a chi ne aveva bisogno. Inoltre aveva un culto per l’amicizia e per i rapporti umani. Condivideva gli stessi ideali anche con personaggi come Don Milani o con Don Balducci. Per me fare uno spettacolo su Turoldo vuol dire che l’atto teatrale diventa atto politico”.

ph. Giovanni Chiarot

Perché non c’è un vero attore protagonista ma Turoldo viene interpretato da tutta la Compagnia?

“Lo spettacolo mette in scena lo snocciolarsi della vita di Turoldo ecco perché non poteva essere rappresentato solo da Fabiano Fantini un Turoldo giovane. E poi abbiamo voluto farlo interpretare da tutti perché oramai i suoi ideali erano diventati anche un po’ parte di noi. Quando all’inizio dello spettacolo Fabiano non sa dove mettersi ci offre la chiave di lettura di tutto lo spettacolo. È Turoldo stesso che osserva la messa in scena della sua vita”.

A quali difficoltà sei andato incontro mettendo in scena questo spettacolo?

“Si sono prospettati due modi di portare in scena la figura di Turoldo: sfruttare la sua immagine trascendendo la sua personalità o riprodurlo rigorosamente. Abbiamo deciso di mantenerci totalmente autonomi da entrambi. Il valore che doveva emergere maggiormente era la sua apertura mentale, la sua dimensione umana che svincola gli uomini da credi politici. Turoldo vedeva Dio dentro ciascuno di noi.”

Perché avete deciso di dare il titolo Il canto e la fionda?

“Ci ha dato l’idea l’amico frate Camillo de Piaz. Giuseppe aveva scelto il nome di David perché era il re ebreo che aveva sconfitto il gigante Golia, metafora della sua lotta al potere, e perché aveva composto i salmi come a lui piaceva comporre poesie, da ciò il nome Il canto e la fionda”.

“Che pensiero c’è dietro la scelta particolare dei costumi per lo spettacolo?” gli abbiamo chiesto infine

“E’ frutto di un ragionamento protratto nel tempo. I vecchi costumi degli spettacoli prodotti dal CSS sono tenuti nei magazzini sempre a disposizione. Volevamo usufruire dei costumi in maniera creativa. Turoldo era un uomo che si era schierato dalla parte degli ultimi, ma che rapporto abbiamo noi con gli ultimi? Di solito ci fanno pena o sono come macchia in quel perfetto nitore del bianco che ci circonda e ci rassicura. Perciò abbiamo deciso che i ragazzi dovessero essere di disturbo, creare problemi alla nostra mente. Uno dei modi in cui abbiamo deciso di farlo è stato quello di fargli indossare una gonna e una fascia intorno al petto -anche agli uomini- perché al giorno d’oggi il non saper distinguere sessualmente qualcuno è disturbante. La gonna inoltre è un ulteriore rimando alla vista monastica siccome simboleggia la tonaca dei preti”.

 

Greta Petiziol e Zoe Magliocchetti del Liceo classico Stellini