Sabato 16 dicembre 2017, Stagione Contatto al Teatro Palamostre. Gli spettatori entrano poco a poco nell’atmosfera rarefatta e sospesa della Sala Pier Paolo Pasolini, parlando tra di loro, cercando tra la folla il volto di qualche conoscente, senza sospendere gli atti della propria vita. Nel frattempo, sul palcoscenico già inizia a prendere vita Prélude, il disegno di Cristina Kristal Rizzo e dei suoi danzatori: Annamaria Ajmone, Marta Bellu, Vera Borghini, Tiana Hemlock-Yensen, Leonardo Maietto, Alice Raffaelli, la stessa Cristina Kristal Rizzo e Charlie Laban Trier. Un disegno, che, sorprendentemente, lascerà al pubblico la sensazione di rispecchiarsi raccontato e descritto nel linguaggio della danza contemporanea.
Lentamente, come un invito al silenzio, si affievoliscono le luci di sala. Continua la danza silenziosa di un’unica danzatrice, la stessa coreografa Cristina Rizzo. Gli altri artisti attendono immobili ai lati del palco. La dimensione del tempo sembra sospendersi mentre la musica si diffonde in platea. Lo spettacolo ha inizio.
La musica ed i movimenti mi rapiscono. Sulla scena, sobria ed essenziale, si intrecciano i passi dei danzatori. Sin dai primi istanti, mi pervade un’impressione che presto si fa certezza: chi si muove sul palco non sta soltanto ballando, non sta solo esprimendo un concetto con i propri movimenti: i danzatori stanno vivendo.
Per la prima volta, mi rendo conto di quanto sia labile e sottile il confine tra danza, gesto, comportamento. Nei corpi e nei movimenti di ciascuno dei danzatori intuisco un suggerimento del loro essere, un’impressione del loro modo di esistere. Muovendosi, descrivono un racconto che è ben più di una semplice immagine. Pare che stiano parlando, svelandoci i tratti più sottili ed unici del loro essere umani. Traspare il carattere di ciascuno da ogni gesto, e sono certa che non sia soltanto una suggestione: la loro danza genera un’armonia sincera, ma senza alcuna traccia di omologazione. In otto danzatori, il mio sguardo rivede la vita di un mondo intero, nella sua indefinibile diversità di atteggiamenti, di caratteri, di situazioni. Gente che si muove giorno dopo giorno nella propria vita, si relaziona alle persone che incontra ed al loro modo di essere, agli spazi che percorre, ai contesti in cui cresce. Corre, parla, si sfiora, si cerca, desidera trovare un punto di contatto con il resto dell’umanità ma non cancella mai la propria unicità: si lascia trascinare dalla sensazione di esistere insieme, di partecipare di un’anima e di una natura che respira in tutti.
È incredibile come la spontaneità e naturalezza dei danzatori riesca a svelare il filo sotteso al paradosso e al sogno dell’esistenza. Essere miliardi di uomini e donne diversi, ma riuscire a convivere, a cercarsi, venendosi incontro con comprensione e franchezza, senza mai rinunciare a sé. Soli, ma insieme. Unici, ma bisognosi di comunicare.
La danza si fa sempre più complessa. In un’ora vedo simbolicamente ritratti e sovrapposti gli atti e le relazioni di una vita, da otto prospettive diverse, secondo le infinite possibilità di incontro introdotte dal semplice movimento, dalla drammaturgia dei loro corpi. È un continuum che esprime ciascuno dei performer da dentro e da fuori, che permette a ciascuno di delinearsi autonomamente ed, allo stesso tempo, sospinge senza violenza ad esprimersi in rapporto con gli altri. La diversità dei danzatori mi impedisce di coglierne alla perfezione tutti i gesti, ma questa lieve confusione non mi toglie nulla: guardo il loro disegno senza sforzare gli occhi, mettendo a fuoco di volta in volta il sussurro di vita che accarezza più da vicino i miei sensi. In questa realtà soffusa sembra quasi che musica e movimenti parlino da dentro di me, regalandomi un istante sospeso ed incalcolabile di serenità.
Il frammenti del loro racconto si avvicinano sempre di più, gradualmente si ricompongono in un semplice equilibrio. Ora tutti i danzatori sono accomunati da uno stesso linguaggio, i loro movimenti descrivono un respiro rassicurante sul fondo della scena, come a ricordare lo scorrere lento e regolare della vita. E, ancora una volta, viene confermato il messaggio di naturalezza e libertà della coreografia. Due danzatori discretamente si siedono sul bordo del palcoscenico ed iniziano ad esprimersi sottovoce, parlando di sé, o forse del modo di vivere che abbiamo noi esseri umani. Le loro parole scivolano sommessamente sulla musica e sulla danza, si perdono lentamente quando l’armonia della scena, ancora una volta, ritmicamente si ricompone. Gli artisti si sono uniti in questo lento ondeggiare per scelta e non per necessità, la loro diversità non è stata interrotta o sospesa, chi desidera liberarsi e trovare la propria individualità senza fretta si porta al centro dello spazio libero e, immerso in una morbida penombra, ricomincia a raccontarsi.
La coreografia di Cristina Kristal Rizzo, prodotta da CAB008 Teatro / Inteatro Festival, regala uno sguardo sottile sulle strade sottese dell’esistenza, non pronunciate o a malapena udibili, ma portatrici di significati fondamentali e di leggi ineffabili. La musica elaborata da Simone Bertuzzi per il progetto Palm Wine delinea uno spazio tempo che si definisce su impressioni soggettive e non su indicazioni precise, e dunque permette a chi guarda di scoprire un personalissimo punto di vista da cui cogliere il sussurrato messaggio di libertà ed uguaglianza di Prélude.
Il divenire, la mutevolezza della danza lentamente si ricompongono in gesti sempre più soffusi. Come un battito cardiaco enormemente dilatato nel tempo, o come una vita ricomposta e sovrapposta in pochi attimi, la parabola della dinamicità dispiegata della danza si chiude gradualmente, placida.
Lunghi e calorosi applausi al termine dal pubblico attento e partecipe di Teatro Contatto.