Corvi. Questa la prima, potente immagine della nuova creazione di Marta Cuscunà, “Il canto della caduta”, che ha debuttato in prima assoluta giovedì 25 e venerdì 26 ottobre al Teatro Palamostre di Udine, inaugurando la Stagione Teatro Contatto 37 del CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, co-produttore dello spettacolo.

ph. Daniele Borghello

Ispirandosi all’antico ciclo sul mito di Fanes, il regno di una popolazione ladina delle Dolomiti in cui le donne vivevano pacificamente prima del dominio della violenza, Marta Cuscunà ci racconta tramite le voci dei suoi personaggi una tetra realtà di guerra e dolore. La drammaturga si è basata anche sulle opere di due studiose, Riane Eisler e Marija Gimbutas, per parlarci di quest’epoca remotissima che non conosceva la guerra. All’origine dello spettacolo c’è dunque il cuore del nostro passato che, grazie all’incontro tra archeologia e studi mitologici, ci rivela l’esistenza utopica di un mondo in cui a predominare non era la brutalità della spada, ma la pace, e in cui le donne non erano schiacciate dal peso dell’uomo.

Innestandosi su questa visione sperduta nel tempo, “Il canto della caduta” mostra la desolazione causata dall’arrivo di un re bellicoso che ha distrutto questo sacro equilibrio. La guerra non è mostrata direttamente sulla scena, ma viene evocata da immagini e rumori, ed è raccontata tramite i gracchianti commenti dei corvi, realizzati con una suggestiva creazione animatronica dalla scenografa Paola Villani. Allo stesso modo, il volto del re non compare mai, né si sente la sua voce, ma la sua presenza emerge da un monitor posto al centro della scena, con cui lo spettatore è portato a scontrarsi attraverso la lettura delle parole che compaiono, quasi accecanti, intervallate da suoni e luci intermittenti. Si leggono domande provocatorie dalla forte carica emotiva, e frasi da attribuire al re e alla figlia da sacrificare per la legge della guerra.

Sul palco, un gioco di luci e ombre accompagna i movimenti meccanici dei corvi, simbolo della distruzione e della morte arrecate dalla guerra. Lo spettatore può percepire la sensazione glaciale che evoca la scena, così come giungono intense le emozioni di chi, con assoluta impotenza, aspetta che il pericolo sia passato: i bambini superstiti nascosti tra le montagne. Sono quindi bambini gli altri protagonisti, con visi impauriti costretti sotto maschere di topi, impossibilitati a muoversi ma obbligati a sforzarsi di vivere. Ricorrenti e ipnotiche come un gong sono le parole del bambino, che chiede tra le lacrime e il fiato corto perché debba continuare a fingere di essere un topo. La risposta: per sperare di salvarsi la vita, perché in guerra “nessuno colpisce i topi”. Il confine con l’animalità cessa di essere solo metaforico: così i bambini dimostrano quanto la guerra possa essere disumana.

ph. Daniele Borghello

Mitologia e tecnologia, passato e futuro si intrecciano per descrivere qualcosa che riguarda anche il nostro presente. I joystick manovrati abilmente dall’attrice, l’unica in scena, sembrano azionare non solo le leve che fanno vivere i corvi, ma anche le menti degli spettatori: Marta Cuscunà, manovrando i quattro corvi e dando loro voci ogni volta diverse, è l’architetto burattinaio di un sistema ricco di simboli e di domande che non possono lasciare indifferenti.

Una di queste domande, commovente e straziante, viene posta proprio dalla voce di uno dei corvi. Se nella prima scena li si vede cibarsi di qualcosa, alla fine dello spettacolo lo spettatore capisce cosa costituisca il loro pasto agghiacciante: i piccoli corpi senza vita dei bambini, vittime della guerra. Ed è allora che un corvo interpella un altro, chino a beccare ostinatamente quei resti abbandonati e dimenticati da tutti. Come si può anche solo sfiorare il corpo di un bambino? O, detto brutalmente, come si può mangiare un bambino? È una frase che buca il cuore e colpisce il bersaglio della nostra emotività, assai spesso velata da uno strato di ipocrisia. Impietosamente schietta è la risposta dell’altro corvo. Nessuno muove un dito per impedire di uccidere un bambino, ma viene giudicato intollerabile che un corvo se ne cibi?

Ma “Il canto della caduta” inscena anche un vincente paradosso: lo spettatore trova lo spazio di sorridere in occasione di brevi battute ritmate dai tempi della comicità teatrale, ad esempio durante l’avvicinamento di un guerriero alla figlia del re la quale, apparentemente un attimo prima di cedere al corteggiamento, sconfigge improvvisamente l’avversario. Ed è così che, accanto alla disumanità della guerra, Marta Cuscunà rappresenta anche la forza d’animo delle donne.

ph. Daniele Borghello

Corvi, dolore, bambini, un amaro sorriso: questo il racconto, delicato e forte allo stesso tempo, della crudeltà umana in uno scenario apparentemente relegato al mito, ma in realtà molto vicino a noi e al nostro oggi. Applausi calorosi hanno accolto la giovane e bravissima Cuscunà al debutto dello spettacolo che ora sarà in tournée e farà tappa a Vicenza, San Marino, Gorizia, Trieste, Sedegliano (UD), Artegna (UD), Rubiera (RE), Lisbona, Gries (BZ), Bologna,Torino, Firenze, Cervignano (UD).

 

 

 

Virginia Bernardis ( Università degli Studi di Udine)