La stagione Teatro Contatto 37 si è aperta giovedì 25 ottobre al Teatro Palamostre di Udine con un profondo tuffo nel passato, un lavoro che si ispira a una storia nata in un tempo prima del tempo, la prima assoluta di uno spettacolo che girerà l’Italia e non solo, Il canto della caduta diretto e interpretato da Marta Cuscunà.
L’attrice e autrice, attingendo al mito di Fanes, una tradizione popolare dei Ladini – piccola minoranza etnica che vive nelle valli centrali delle Dolomiti – ci racconta una storia di guerra, delle sue cause e conseguenze: la sete di potere, il dolore, i massacri, i bambini abbandonati. Racconta di “un tempo più antico del tempo” quando per i Fanes l’unica realtà era costituita da un regno pacifico guidato da donne regine, distrutto dall’inizio di un’epoca del dominio e della spada. È il canto della caduta in guerra di un popolo che prima conosceva solo la pace.
All’accendersi delle luci in sala, il pubblico scorge una struttura geometrica di metallo, i Monti Pallidi, ovvero le Dolomiti. Sulla loro cima si ergono quattro grossi corvi nervi. A raccontare al pubblico questa storia, tramandata oralmente fino ai primi del Novecento fra i Ladini, sono, infatti, i corvi, i cui corpi meccanici sono messi in moto dalla performer mediante dei joystick. Questi animali raccontano la caduta del regno di Fanes, descrivono la guerra dal loro punto di vista, ovvero quello di chi da essa trae sempre vantaggio. E lo fanno con voci gracchianti e con una comicità che stona fortemente con la tragedia che raccontano. “Chiudi il becco, piantala di gufare, tordo!”, così dialogano tra di loro e si saziano dei cadaveri prodotti dalle battaglie a cui il popolo dei Fanes è ormai costretto. “E se gli uomini si ricordassero la pace?” chiede uno. Ah disgrazia! Non avrebbero più da mangiare. Il sostentamento che traggono dalla guerra somiglia a quello economico e politico che i “corvi” di oggi traggono dai massacri attuali.
Sotto ai monti, invece, inaspettatamente si nascondono dei bambini, dei piccoli che cercano di sembrare topi. Sono gli unici sopravvissuti al massacro dei Fanes e da millenni si nascondono, cucendosi l’un l’altro delle maschere da topo in testa, faticando a trovare cibo e temendo ad ogni rumore per la loro vita. Aspettano la pace promessa, ma fuori sentono suoni di bombe, di armi moderne, insinuando nello spettatore il dubbio che gli anni trascorsi da quando la pace è finita sono tanti quanti quelli che separano la nostra epoca da quella dei Fanes.
Dando la parola prima agli uni poi agli altri, Marta Cuscunà fa parlare questi due gruppi di personaggi: i corvi raccontano il mito di Dolasilla, la principessa dei Fanes costretta a morire in guerra da suo padre, descrivendo gli orrori della guerra; i bambini passano il tempo infinito sotto ai monti ricordando il canto rosso, delle origini del loro popolo, e quello nero della caduta.
Oggi siamo ancora immersi in un sistema di guerre incessanti. Sembra che la guerra sia parte inevitabile, necessaria, del destino dell’umanità. Per ottenere il bene bisogna a volte passare per il male, si sente spesso dire – che sia “Il principe” di Machiavelli o la serie tv “House of cards”. Ma forse per fare il bene basterebbe cercare il bene. “Il canto della caduta vuole portare alla luce il racconto di come eravamo, di quell’alternativa sociale auspicabile per il futuro dell’umanità che viene presentata sempre come un’utopia irrealizzabile. E che invece, forse, è già esistita.” Così scrive Marta Cuscunà sul suo blog – cantodellacaduta.blogspot.com – creato appositamente per documentare il lavoro, durato un anno e mezzo, di creazione dello spettacolo.
Durante l’incontro che ha seguito la prima dello spettacolo – moderato da Roberto Canziani, professore e critico teatrale – Marta, Paola Villani, scenografa che si è occupata della progettazione e realizzazione dei pupazzi animatronici, e Marco Rogante, assistente alla regia, hanno aperto al pubblico i retroscena di uno spettacolo tanto imprevisto.
Imprevisto già dal suo nascere, racconta la performer, poiché del mito di Dolasilla e dei Fanes ha sentito parlare per la prima volta dopo una replica di uno dei suoi spettacoli a San Vigilio di Marebbe, in Alto Adige, nella Ladinia, terra della minoranza ladina. In questo modo – dai “discendenti” di Dolasilla – è venuta in contatto con questa storia tanto potente e attuale da scaturire in Marta il desiderio di farla diventare lo spettacolo che è andato in scena questo 25 ottobre a Udine.
Per realizzare i suoi studi storici, Marta Cuscunà si è basata sull’archeomitologia, un approccio multidisciplinare che unisce l’archeologia descrittiva alla mitologia comparata, al folclore, all’etnologia storica e alla linguistica. Marija Gimbutas, nel saggio Il linguaggio della Dea, ricostruisce un mondo perduto che corrisponde all’Europa neolitica in cui la presenza del femminile sarebbe stata centrale nella visione del sacro e della struttura sociale. Il linguaggio della Dea è il saggio in cui racconta di un’Europa antica molto diversa da quella che ha prevalso successivamente, in cui le società erano prevalentemente egualitarie e pacifiche; il rapporto fra i sessi era equilibrato e paritario; le donne potevano svolgere funzioni sociali importanti di capo-clan e, nelle vesti di sacerdotesse, potevano esercitare una particolare autorità in ambito religioso.
Un modo di fare teatro all’avanguardia – si azzarda a definirlo Canziani – che scava in profondità nel passato, nelle viscere della storia e di una terra, per capire il nostro presente attraverso mezzi del futuro. I mezzi utilizzati ne Il canto della caduta rendono, infatti, lo spettacolo unico nel suo genere, spiega poi la scenografa Paola Villani. Si tratta dell’animatronica, una serie di tecnologie comunemente applicate al mondo degli effetti speciali per il cinema e realizzati con elementi di componentistica industriale. ll protagonista principale dello spettacolo, infatti, è uno stormo di corvi animatronici, manovrato attraverso joystick meccanici. “Il tentativo che sta alla base del progetto scenografico è quello di scardinare l’immaginario del teatro di figura, che in Italia è ancora molto legato alla tradizione popolare” si legge sul blog dedicato allo spettacolo. “Aumentare il grado di innovazione in un settore come il teatro di figura, apre a nuovi interrogativi artistici: quale futuro scegliere per i pupazzi nell’era dell’automazione?” Il futuro che hanno scelto i realizzatori di questo spettacolo è diventato di colpo presente sul palco del Palamostre, nei movimenti dei corvi accompagnati dalle voci gracchianti interpretate da Marta Cuscunà. L’effetto ottenuto è di forte contrasto fra passato e futuro: l’immaginario ancestrale dell’antico mito ladino del popolo di Fanes e l’applicazione dei principi di animatronica per la costruzione dei pupazzi, oltre che a un grande schermo luminoso e intermittente usato per dare voce a personaggi non presenti sulla scena.
Per quanto riguarda i bambini che vivono nella pancia della montagna, Marta rivela che la scelta di raffigurarli con le teste di topo non è casuale: “Ho cercato di immaginarli e li ho visti nascosti sotto teste di topo, come i bambini disegnati da Herakut, duo tedesco di streetartists che ha lavorato in diversi campi profughi e zone devastate dalle guerre.” Il solo nome del bambino più piccolo, dei due in scena, Aylan, rivela come l’attualità sia entrata con prepotenza nello spettacolo. Aylan infatti si chiamava il bimbo dalla maglietta rossa, trovato nel 2015 annegato su una spiaggia turca. Queste sono le condizioni dei bambini che scappano dalla guerra, afferma dunque la performer nel rappresentarli così, dopo lunghe ricerche sulla vita dei bambini che vivono sotto assedio, sui report di Save the Children e di Medici senza frontiere.
“Il canto della caduta parla di guerra attraverso un racconto diverso da quello a cui ci hanno assuefatto i telegiornali, in cui la distruzione bellica è talmente esibita da risultare ormai inoffensiva.”, spiega Marta, e similmente affronta il problema della parità dei sessi. Se ne discute e se ne è discusso così tanto che è diventato necessario un punto di vista nuovo. Quello dei Fanes, il punto di vista di civiltà che vissero nel III millennio a.C., prima dell’arrivo degli Indoeuropei, forse – e in questo modo, pur lontani millenni di anni da noi, ci ricordano che apparteniamo alla stessa stirpe di esseri umani – ci possono fornire risposte più attuali di quello che sembrano: la questione della parità dei sessi ha a che fare con il problema della guerra e della pace.
Dopo la prima a Udine lo spettacolo andrà in tournée in Italia e non solo: tra le tappe, a partire dal 16 novembre, Vicenza, San Marino, Gorizia, Trieste, Bologna, Torino, Firenze ma anche Lisbona, Gries (Bolzano) e Torino grazie alla partnership del teatro Centrale Fies, del Teatro Stabile di Torino e del Sao Luiz Teatro Municipal di Lisbona, oltre che del CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia.