L’avvincente spettacolo Un intervento, scritto dal drammaturgo inglese Mike Bartlett, diretto dal regista italiano Fabrizio Arcuri e interpretato dai due brillanti attori Gabriele Benedetti e Rita Maffei è rimasto in scena, per la Stagione Contatto del CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, ( produttore dello spettacolo) per tre settimane lo scorso febbraio, dopo il debutto in prima nazionale al Teatro dei Filodrammatici di Milano.
Abbiamo incontrato l‘attrice al Palamostre di Udine, dove era in scena lo spettacolo nella sala Carmelo Bene.

Nell’allestimento il regista Arcuri sceglie di far comparire la scenografa, Luigina Tusini, all’interno dello spettacolo e di vestire gli attori con le stesse stoffe utilizzate nella creazione degli arredi e dello spazio scenico. Per quale ragione secondo te, Rita?

Fin dall’inizio sia A che B non compaiono con una figura specifica, non ricoprono il ruolo di una persona vera e propria, non potrebbero essere in nessun modo immaginati perchè non esistono.

La scenografia ha questo esatto scopo: entrambi i protagonisti sono vestiti come lo spazio circostante, sono morti, senza vita, al pari del pavimento, della parete o dei mobili che stanno attorno a loro. A e B potrebbero essere solo delle idee, potrebbero semplicemente impersonare le contraddizioni all’interno di un individuo: una alla ricerca di una verità che non si nasconde dietro alle apparenze, ma vive per essere ciò che è, l’altra mutabile, vulnerabile e ferita da una realtà a cui è restia e da cui prova a celarsi.

Chi lo sa? Queste due figure potrebbe addirittura essere interpretate come le diverse fasi nella vita di un uomo: la giovinezza, piena di ideali, passioni, sogni e…in continuo contrasto con la maturità e la visione di una realtà ben diversa da quella tanto desiderata.

La morte, l’astrazione di queste due figure è ben rappresentata nella prima scena che si palesa agli occhi dello spettatore: A e B distesi, quasi mimetizzati dai colori del tappeto, immobili e inesistenti.

All’interno dello spettacolo una parte molto preminente è svolta dalla rottura della quarta parete. Come hai affrontato questa scelta stilistica adottata da Fabrizio Arcuri?

È una scelta tipica del repertorio stilistico di Fabrizio, che chiede allo spettatore di essere presente in quel momento, “qui e ora”. Esige e richiama la sua attenzione.

La rottura della quarta parete fa sì che lo spettatore ritrovi la sua vita dentro la scena, che si immedesimi nei ruoli dei due protagonisti, che rifletta su alcuni aspetti della quotidianità che, magari, non aveva mai considerato.

Arcuri per facilitare ciò inserisce all’interno dello spettacolo dei riferimenti alla realtà che aiutano il pubblico ad avvicinarsi ai temi trattati e a farli propri.

Quest’ “invasione” nella vita dello spettatore è inaspettata perchè inusuale all’interno del teatro di repertorio: grandi classici e opere di larga fama, ma scritti anni addietro, sono recitati senza che il pubblico possa immedesimarsi nella storia perchè non vi sono molti punti in comune fra la vita odierna e quella trattata in queste rappresentazioni. Per questo quando spettacoli che presentano gli stessi aspetti di Un intervento vengono proposti sono accolti con stupore e meraviglia, ma anche con molta attenzione.

Ho sempre affrontato positivamente questa scelta registica proposta, con Arcuri il lavoro non è mai una routine, sei obbligata ad interpretare il testo a modificarlo in base al pubblico, al tuo stato emotivo e a mille altri fattori. Con la rottura della quarta parete ti esponi, metti a nudo i tuoi sentimenti. Non c’è un copione a cui attenersi, delle regole che bloccano o vincolano, solo un testo da adattare e modificare. Questo mi piace, mi piace poter essere libera e mi piace poter avere un rapporto più diretto con il pubblico, ma non solo: mi piace pensare che lo spettatore non sappia cosa apettarsi e che io per prima non ne abbia idea.

foto di Daniele Fona

Il finale è in qualche modo aperto, Fabrizio Arcuri preferisce non dare alcuna anticipazione sul futuro di quest’ambigua amicizia, ma lascia allo spettatore il compito di immaginare il suo seguito. Condividi questa scelta?

Sì, e per ben due ragioni. A e B potrebbero rappresentare le contraddizioni all’interno di un individuo, ma anche all’interno di un’intera classe sociale: entrambi i protagonisti si appassionano per le scelte e le iniziative politiche proposte dal Governo, ne vogliono fare parte e desiderano influenzarle in qualche modo eppure, anche se animati dalle stesse idee, non riescono a stabilire un accordo, un legame, un ponte che li unisca fra loro. E allo stesso modo le contraddizioni riguardano l’ambito sentimentale: anche con l’evidente affetto che li vincola non riescono a combinarne una giusta! Si arrabbiano, litigano, discutono, non si parlano per anni, si cercano, si ritrovano e, proprio attraverso scambi verbali violenti e diretti, riescono ad essere ciò che sono e ad amarsi.

La seconda ragione riguarda l’interpretazione del testo dalla traduzione condotta da Jacopo Gassman  del copione in inglese. Rileggendolo in lingua originale si scoprono moltissimi riferimenti e rimandi che solo un pubblico anglosassone potrebbe capire: la piazza di cui A parlava, il ritrovo dei manifestanti contro l’intervento militare, nel copione compare con un nome specifico che serve a dare l’idea di quanto enorme fosse il luogo e quanto sciocca fosse l’idea di ritrovarsi in uno spazio del genere. Quindi si può immaginare quanto sia stato difficile la scelta della traduzione da addottare per la frase inglese ” I love you” nelle ultime battute. In italiano il verbo “to love” non solo assume il significato dell’amore provato verso una persona con cui si ha una relazione di coppia, ma traduce anche l’affetto nutrito nei confronti dei propri figli, dei genitori, dei parenti e degli amici. Arcuri non voleva togliere questo dubbio, non voleva chiarire i sentimenti provati dai due protagonisti e mai espressi a parole. Per questo ha lasciato solo sulle labbra di A questa frase. Questo ti amo.

Abbiamo riflettuto sul fatto che molti sono rimasti delusi da questo finale:” ma come, nessuna risposta?”, ma perchè  dovrebbe esserci una risposta? Un ” ti amo” non è una domanda, è un’affermazione. È il desiderio di una persona di dire, di imprimere con le parole un sentimento forte, uno dei più forti. Ti amo rappresenta appunto la così grande energia di questa passione, così potente e violenta da strappare queste parole ad una persona, una persona animata da un sentimento che ha la necessità di essere condiviso. È la ricerca di esprimere qualcosa che non può essere espresso e perchè bisognerebbe, se questa frase è così ricca di significato, aspettarsi ogni volta una “risposta”? Se ogni individuo dicesse “ti amo” solo per ricambiare quello appena ricevuto non avrebbe la stessa importanza, non racchiuderebbe la stessa passione e lo stesso ardore“ conclude con passione l’attrice.

Teresa Narghes Peresson, Liceo classico Jacopo Stellini