“Sono un’attrice, sono un meccanico, sono una barista..” “Si, ma chi sono veramente? Qual è la mia reale identità?”
Questi sono gli interrogativi che caratterizzano sempre più spesso l’animo umano, ma anche i dubbi che scaturiscono dalla società attuale, o ancora i risultati di un mondo troppo impegnato ad apparire, più che a capire.
RITRATTI- LE IDENTITA’ COMPLESSE, curato dalla regista Rita Maffei, ha aperto le porte al pubblico lo scorso sabato 29 giugno 2019 al Teatro San Giorgio di Udine, per la conclusione del ciclo di laboratori Identi-Kit che hanno accompagnato la stagione di Teatro Contatto 37 (da novembre 2018 a fine giugno).
Si tratta di un processo artistico che ricorre alle dinamiche del teatro partecipato, un nuovo formato e metodo di creazione, dedicato al coinvolgimento dei cittadini attraverso l’immaginario della scena.
Dal buio iniziale, piano piano, ecco che arrivano delle sedie, ciascuna portata da diversi personaggi. Può sembrare strano, ma l’attenzione dello spettatore è attirata proprio da quelle sedie, che presentano colori, forme e dimensioni differenti le une dalle altre: sono sgabelli, sedie da ufficio, alcune più grandi, altre più piccole, e perfino sedie da spiaggia. Possono degli oggetti, apparentemente così banali, avere un significato profondo? Ebbene si, perché ogni sedia ci svela metaforicamente la personalità di chi sta per accomodarsi sopra.
Con l’arrivo dei protagonisti si avvicendano momenti particolarmente toccanti, altri di puro divertimento e altri, ancora, di riflessione.
In questa occasione, la regista ha messo alla prova il pubblico, invitandolo, prima della performance, a tentare di indovinare quali fossero le identità realmente corrispondenti ai loro interpreti e quali, invece, fossero frutto solamente della loro fantasia.
Per tutta la durata della dimostrazione non smetto mai di guardare il palco, nemmeno per un secondo; voglio tentare di vincere il gioco proposto, che ha stimolato la mia curiosità.
Ognuno racconta qualcosa di sé, ma spesso le parole non sono sufficienti per esprimere il proprio mondo interiore e per far realmente comprendere a chi ci ascolta il tormento o l’angoscia che ci perseguitano; e allora si ricorre ad un altro linguaggio, quello dei gesti, delle esclamazioni, dei sospiri.
Sono movimenti minimi, ma sapienti, che vanno dritti al cuore, risvegliando in ciascuno di noi un vissuto che forse si era addormentato.
Sono proprio i sospiri e qualche risata ad interrompere il silenzio profondo della platea, che era stato il protagonista attento della sala.
A questo punto interviene la regista, la sua voce microfonata dal fondo risalta con qualche quesito, breve ma importante: inizia con “Qual è la tua professione?” e prosegue “A chi devi dire grazie?”.
Ed, infine, quando tutto sembra dichiarato e tutti si aspettano che l’incontro sia finito, Rita Maffei pronuncia la domanda più difficile: “Chi sei?”. Imbarazzo totale. Qualcuno cerca di rispondere, altri si guardano allo specchio, altri ancora chiedono aiuto ai propri compagni.
Nessuno trova una risposta che lo convinca, ognuno è disarmato, proprio come lo era Vitangelo Moscarda che, in “Uno, nessuno e centomila” aveva detto: “Se per gli altri non ero quel che finora avevo creduto d’essere per me, chi ero io?”
La domanda
della regista in effetti lascia spiazzati non solo i personaggi sul palco, ma
ognuno di noi. “Chi siamo?” “Cosa vogliamo dalla nostra esistenza?” Forse
dovremmo chiedercelo più spesso, nell’intento di non rendere la nostra vita una
scarsa imitazione di altre, ma di ambire alla migliore versione possibile di
noi stessi.
Il messaggio viene percepito dal pubblico che si esprime con un fragoroso
applauso.
Ritengo che quello che ho visto sia una descrizione fedele della società odierna, colma di persone che non sanno chi sono, di individui che cercano di imitare modelli stereotipati e che, troppo spesso, sono pronti a giudicare e ad accusare.
Finisce così un lavoro che non desta solo emozioni, ma sollecita interrogativi: ci porta a riflettere sul fatto che la nostra vera carta d’identità non è costituita da dati anagrafici, ma da un tessuto complesso, formato da incontri, esperienze, ricerche, ma soprattutto dai nostri sentimenti.

di Emiliana Macovez del Liceo Linguistico Vincenzo Manzini