Adesso la sensazione di essere rinchiusi in una bolla di vetro è la stessa per tutti. Ci sentiamo imprigionati, inermi, incompleti, abbiamo la percezione che tutto ci stia progressivamente sfuggendo di mano. Sarà una situazione provvisoria o nulla tornerà come prima? Per quanto ancora continueremo a limitare la nostra vita? Per quanto ancora continueremo a sacrificare l’attività sportiva, i nostri hobby, i nostri incontri, i nostri divertimenti? Per quanto ancora dovremo stare ad un metro o, chissà, a chilometri di distanza da chi amiamo o da colui/colei che amiamo?
Queste sono tutte domande che affollano la mia mente quotidianamente, che bloccano l’attività che stavo facendo, che mi rabbuiano il volto. Il mio antidoto per eccellenza è sempre stato il teatro e ora sono stata privata anche di questo. Inutile dire che i sentimenti che provo in merito alla questione sono veramente tanti: tristezza, insoddisfazione, rabbia per non averne approfittato abbastanza prima che tutto questo succedesse… Devo ammetterlo: sono tanti i momenti in cui mi faccio prendere dallo sconforto ma, un po’ per la mia testardaggine e un po’ grazie al mio senso del dovere, cerco di affrontare tutto questo con le armi che ho. Non è facile individuarle quando si è sommersi da notizie negative, da messaggi tutt’altro che confortanti, da musi lunghi e agitazione. Poi capisco che non serve cercare una via di uscita tanto lontano perché in fondo ho già tutto quello che mi serve nei ricordi, nelle esperienze e in tutte le emozioni che ogni esperienza precedente mi ha lasciato. Se ci pensiamo, questo è un meccanismo che attiviamo per la maggior parte delle volte inconsapevolmente per darci la carica per andare avanti, per trovare la forza di affrontare la giornata, per fissarci uno scopo in questa nostra esistenza. Ecco, se faccio riferimento a tutto quello che ho visto in questi anni a teatro, capisco quanto esso sia importante per me; capisco, adesso più che mai, il suo valore, la sua potenza, la sua utilità, la sua importanza. E allora si che in tutta questa situazione riesco a cogliere un aspetto positivo: è vero che il Coronavirus ci hanno allontanati dai teatri intesi come spazi fisici, ma non ci allontanerà mai dai nostri “teatri interiori”. Il teatro non è un luogo fisico ma è tutto quello che un gruppo di attori ci lascia, è emozione, è una grande opportunità e sono convinta che questo stop ci darà modo di apprezzare veramente quanto sia meravigliosamente speciale.
Io mi sento di ringraziare il CSS per l’esperienza che mi ha offerto l’estate scorsa, uno stage che per me non è stato un obbligo scolastico ma l’occasione magica di vedere alcuni dei miei sogni prendere forma. Sentire il profumo del palcoscenico, gustare il dietro le quinte dell’organizzazione di una stagione, poter vedere come lavora un team, che riesce a coniugare managerialità ed autentica arte, sono tutti elementi che mi hanno permesso di ricaricare le batterie a colpi di emozioni e mi hanno regalato tanti spunti per affrontare queste giornate di isolamento.
Peraltro, il CSS ha dato prova di grande sensibilità verso chi corre il rischio di andare “in crisi di astinenza” offrendoci delle stimolanti performance in diretta dalla pagina Facebook del CSS. Si tratta di una stagione virtuale di grandissimo interesse, che può essere seguita anche in differita dalle singole schede del sito CSS.
In questi giorni la mia mente ha ricordato spesso uno spettacolo di grande impatto presente nel cartellone di quest’ultima stagione: Il Labirinto di Orfeo. Si è trattata di una performance emozionante, ma soprattutto di un’inconsapevole metafora di quello che stava per accadere a tutti noi. Riflettendo adesso, a distanza di qualche mese, il viaggio del poeta echeggia il percorso solitario delle nostre giornate, così strane, così incredibilmente fuori dal mondo, così caratterizzate dalla necessità di evitare gli altri e dal bisogno di incontri allo stesso tempo.

Quando sono andata a vedere lo spettacolo, mi sono trovata sola e sprovveduta nell’attraversare il labirinto di Orfeo, un po’ come oggi sono smarrita nel vuoto della mia stanza.
Quella sera ho compiuto un incredibile viaggio, finalizzato a ripercorrere le tappe del percorso del poeta Orfeo, che cercava, invano, di riavere accanto a sé l’adorata moglie Euridice. Anche noi ogni giorno siamo chiamati ad un percorso di forzata solitudine, finalizzato a ritrovare gli affetti, a donarci negli abbracci, a specchiarci nei sorrisi.
Il percorso teatrale, attraverso stanze e corridoi, era compiuto da uno spettatore alla volta, guidato da una serie di attori, che gli spiegavano gli eventi. Un po’ quello che ci succede ogni giorno, quando ci sediamo davanti al televisore, moderno oracolo, ad ascoltare i vaticini dei vari Borrelli e Brusaferro, che ci raccontano cosa abbiamo vissuto, quanti non ci sono più, cosa possiamo aspettarci. Ascoltiamo, non capiamo realmente ma, come Orfeo, ci affidiamo alla via della speranza.
Non è stato facile, la sera dello spettacolo, entrare in una serie di stanze, più o meno buie, sostenuta ed accompagnata da attori che mi raccontavano la storia di Orfeo e di Euridice, con parole così ben pesate, addirittura cesellate, che mi sembrava di vedere davanti a me i due infelici amanti.
Man mano che proseguivo il mio cammino da una stanza all’altra, sentivo il mio passo diventare meno sicuro, le gambe più instabili. Mi sembrava di essere avvolta in un incantesimo: ero spaesata, spaventata e spaurita. Non serve dire che è quello che provo nel quotidiano, in attesa di una luce, dal fondo del tunnel, che ci liberi dalla prigionia.
All’uscita dallo spettacolo era stata una sorpresa sentire commenti e sensazioni completamente opposti ai miei, fatti a distanza di pochi minuti da persone diverse, che avevano appena effettuato il mio stesso percorso.
Terminato lo spettacolo, sulla via del ritorno riflettevo sull’importanza delle esperienze sensoriali, che nella società odierna si stanno affievolendo a poco a poco. Anche in questo tempo sto meditando su quanto importanti siano certi piccoli stimoli, che fino a qualche settimana fa sembravano scontati: un sussurro, una carezza, un respiro. Beni necessari per conoscere non solo chi ci sta attorno, ma soprattutto noi stessi.
Troppo spesso condanniamo noi stessi a causa dell’incapacità di valorizzare le nostre piccole e grandi emozioni che, al contrario, sono spesso la forza indispensabile per attraversare il labirinto della vita.
Il teatro è l’antidoto migliore per combattere il deserto emozionale, perciò speriamo che presto la riapertura del glorioso palco del CSS segni anche quella delle nostre giornate verso il mondo.
di Emiliana Macovez del Liceo Linguistico Vincenzo Manzini di San Daniele del Friuli